È il pubblico che si espone all’arte e non viceversa.
Oggi si crede che gli spazi deputati all’arte visiva abbiano il potere di compiere il miracolo di tramutare in opera d’arte qualunque cosa vi venga esposta.
È sbagliato mettere sotto la riproduzione fotografica di un’opera d’arte il nome dell’artista. È il nome del fotografo che ha realizzato la foto che dovrebbe esserci.
Io, nell’arte, ho realizzato disegni, dipinti “sculture” (opere tridimensionali), opere invisibili, opere ubique, architetture, e in qualche occasione “ossimori fisici” e opere “omeopatiche”.
Non sono molto interessato all’arte moderna e neanche a quella antica. Preferisco quella prediluviana.
Le mie opere spesso si sono rifiutate di partecipare alle grandi mostre.
La fotografia non crea. Riproduce o interpreta l’esistente.
Un pittore è come un prestigiatore che con i suoi giochi deve riuscire a sorprendere se stesso. E in questo sta la complessità.
Le sfilate di moda avrebbero sicuramente ancora più successo se non ci fossero i vestiti.
Anziché usare, per mostre collettive o a tema, opere di artisti, spesso addirittura non viventi, per illustrare e confortare la propria tematica, i “critici” dovrebbero cercare di convincere un editore a pubblicare un libro sulla propria problematica.
Il mito della storia porta a credere che qualsiasi fatto o espressione artistica, per il solo motivo che sia stata prodotta, sia interessante e memorabile, e da collezionare.
Rari sono gli artisti non condizionati dalle religioni cui consapevolmente o inconsapevolmente appartengono. Il loro modo di esprimersi nell’arte lo rivela.
Circa duemila anni fa si è deciso che la donna è un essere inferiore rispetto all’uomo e che l’artista visivo è una figura superflua, da ridimensionare. Sono alcune delle innumerevoli fortunate sciocchezze che ci sono state tramandate.
Così come il disegno e la pittura, la mia “scultura” non è condizionata dalla forza di gravità.
La città di Roma è stata fondata, molto prima di Romolo e Remo, dai sumeri.
Chi crede di poter realizzare le proprie opere “portando avanti” la “ricerca” di altri artisti, scambia l’arte con la scienza.
L’affrettarsi a voler storicizzare “in diretta” l’arte contemporanea e il piazzarla immediatamente nei Musei, nasce dalla paura del giudizio dei posteri.
Nel mondo esistono e sono sempre esistite solo opere bidimensionali o tridimensionali; e alcune opere invisibili di Gino De Dominicis.
L’arte riguarda il genio e il suo spazio è quello della verticalità: non si muove orizzontalmente da destra a sinistra, o viceversa, ma si sposta, immobile, dall’alto verso l’alto.
Gli artisti che fanno “allestimenti” e “installazioni” hanno semplicemente preso il posto degli operai.
Effimere storie dell’arte contemporanea con stile Biblico raccontano: “Rauschenberg generò Burri, che generò…”.
Il termine “arte concettuale”, di origine americana, in Italia è molto piaciuto forse perché ricorda nomi di persona molto diffusi come Concetta, Concezione, Concettina ecc …; e viene di continuo usato stupidamente per etichettare tutto ciò che in arte non è immediatamente riconoscibile.
In America, e di ritorno in Europa, hanno preso alla lettera la “posizione” di Duchamp pensando che fosse un modello da imitare e che il suo fosse un modo alternativo e moderno di fare arte. In realtà era solo il modo di Marcel Duchamp.
Non bisogna mai scambiare gli artisti per dei modelli, e tantomeno un modello, o una modella, per un artista.
La mancanza di una legge sui diritti d’autore per l’arte visiva, rende possibile copiare sostenendo che si tratta invece di una “citazione”.
Parallelamente alla Biennale di Venezia dovrebbero istituire una “Biennale dei creativi” (a Milano, per esempio), dove però rigorosamente non dovrebbero essere invitati pittori e scultori. In questo caso sarebbe anche giustificabile l’affidamento della mostra a un organizzatore un po’ “creativo”. In questa Biennale potrebbero essere consegnati dei premi. Ad esempio: il “Grande Premio Andy Warhol” per il migliore “fotografo creativo”, e altri per la migliore performance o il miglior video, per il migliore allestimento, per il migliore stilista, etc…, e così tutti sarebbero contenti, in particolar modo gli assenti (pittori e “scultori”).
L’unico nomadismo riscontrabile nelle mie opere è che qualche volta sono state trasportate fuori da Roma per una mostra.
Il disegno, la pittura la “scultura”; materiali, immobili e muti, sono ontologicamente l’opposto di tutti gli altri linguaggi artistici.
Il ’68, tra l’altro, ci ha regalato: prima i “galleristi creativi”, poi “critici creativi” e più recentemente i “direttori di museo creativi”; sono attesi “collezionisti creativi”, “direttori di zoo creativi”, “chirurghi creativi”, “capistazione creativi” ecc. ecc…
A un’epoca di omologazione e di smania comunicativa planetaria, smaterializzata e astratta, si sottraggono soltanto le “antieffimere” arti maggiori.
Quest’epoca non ama l’arte visiva e si identifica con i linguaggi che scorrono nel tempo e nello spazio: scrittura, musica, cinema, televisione ecc… E moltissimi sono coloro che continuano a occuparsi di arte visiva solo con l’intenzione di snaturarne il fondamento e renderla omogenea a quei linguaggi del divenire a loro più congeniali.
La rimbambita moda dello “sconfinamento”, della interdisciplinarietà e della multimedialità ha reso possibile la partecipazione nelle grandi mostre d’arte, in veste di artisti, a: musicisti, registi, poeti, giornalisti, fotografi, ballerini, ecologisti, attori, critici, galleristi, sociologi, commediografi, performers, filosofi ecc. ecc…
Chi non crea opere d’arte con il disegno e la pittura, non lo fa per una propria scelta, molto più semplicemente non è capace di farlo.
La “contaminazione” tra i linguaggi è sempre stata in una sola direzione: i vari linguaggi “artistici” hanno sempre attinto o copiato dalle arti maggiori e mai viceversa.
Non è mai esistito un “mondo dell’arte”, ma solo opere d’arte nel mondo.
Un’opera, una volta terminata, mi deve sorprendere e rimandarmi più energie di quante ne ho impiegate per realizzarla. L’opera in questo modo è “antientropica” e contraddice il “secondo principio della termodinamica”. Si riappropria così del problema della morte e dell’immortalità dei corpo, senza delegarlo alla scienza e agli scienziati, il che sarebbe pericoloso.
Il pittore, per vivere, può aver bisogno di vendere le proprie opere.
Le opere d’arte sono tutte contemporanee. Altrimenti sarebbe come se vedendo arrivare un’automobile del 1920 si decidesse di attraversare tranquillamente la strada pensando di non poter essere investiti, essendo quell’automobile di un’altra epoca. Mentre non è così. Per le opere d’arte è lo stesso, sono sempre “in diretta”.
Il pubblico, anziché abbonarsi a Internet o riempirsi le case di cataloghi o di libri, farebbe meglio ad abbonarsi alle linee aeree o ferroviarie e andare a vedere le opere d’arte dal vero.
I “video-artisti” dovrebbero essere selezionati e invitati, se interessanti, in una sezione della Biennale del cinema.
Ogni artista è un grande disegnatore, un grande pittore o “scultore”, e ha un segno particolare nel piede destro.
Il pubblico, all’opera d’arte e all’artista preferisce la “storia dell’arte” e “gli artisti”.
Non è un caso isolato quello del mio commercialista. Innumerevoli oggi sono gli operatori dei più svariati linguaggi e mestieri che attendono con impazienza il definitivo sconfinamento multimediale dell’arte, per essere così anche loro artisti, fare le mostre, viaggiare su Internet e scambiare le proprie esperienze con milioni di altri “artisti”.
Ogni linguaggio ha origine da una istanza. L’immortalità fisica è l’istanza delle arti maggiori e ha il proprio paradigma nel capolavoro.
Io sono sicuramente più antico di un’artista egiziano.
Oggi, tra i tanti “rovesciamenti”, si perpetua anche nell’arte una percezione del tempo rovesciata; l’arte e gli artisti contemporanei infatti si considerano e sono considerati moderni, mentre venendo dopo tutto ciò che li precede, dovrebbero sapere di essere più antichi.
L’opera d’arte, oggetto vivente perfetto, può influire sul processo biologico.
Il disegno, la pittura, la “scultura”, non sono forme di espressione tradizionali, ma originarie. Quindi anche del futuro.