WEEGEE. Murder Is My Business

Dal 3 Maggio al 14 Luglio 2011, Palazzo Magnani di Reggio Emilia ospita la mostra WEEGEE. Murder Is My Business prendendo spunto proprio dal titolo della mostra che Weegee curò per se stesso alla Photo League nel 1941. 
Omicidi della malavita, tragici incidenti stradali, devastanti incendi di caseggiati popolari sono i principali soggetti degli scatti in bianco e nero illuminati dal flash del fotografo Weegee (1899-1968) nella sua attività di fotoreporter freelance a metà degli anni ’30.

L’appuntamento espositivo è stato curato da Brian Wallis, Chief Curator dell’ICP, e realizzato – nell’ambito dell’VIII edizione di Fotografia Europea – dalla Fondazione Palazzo Magnani, GAmm Giunti e International Center of Photography (ICP) di New York.

La mostra presenta rari esemplari delle immagini più famose e rappresentative di Weegee – oltre 100 fotografie originali, tratte per lo più dall’esauriente archivio di Weegee presso l’ICP composto da 20.000 stampe, oltre a quotidiani, riviste e film dell’epoca – e considera i suoi primi lavori nel contesto della loro presentazione originaria – su testate giornalistiche e in mostre storiche – oltre ai suoi libri e ai suoi film.

Per un intenso decennio dal 1935 al 1946, Weegee è stata forse la figura che ha dimostrato in modo incessante la maggiore inventiva nel panorama della fotografia americana. Il suo nome divenne letteralmente leggenda, tanto che il regista Stanley Kubrick arrivò ad affermare che una delle fonti d’ispirazione nei primi anni della sua carriera era stato proprio il fotografo Weegee. Kubrick lo volle infatti come consulente per le riprese nel 1958 del film Il dottor Stranamore.
Molti anni dopo, nel 1989 precisamente, il musicista John Zorn ha pubblicato un disco intitolato Naked City piazzando in copertina una celebre e truculenta foto di Weegee, raffigurante il cadavere di un uomo appena ucciso sul ciglio di un marciapiede. Due esempi di testimonianze d’autore che aiutano a comprendere il valore di questo artista.

Il suo vero nome era in realtà Arthur Fellig. Era originario di Złoczew (Austria) ma intorno al 1910 aveva lasciato l’Austria insieme alla famiglia per approdare negli Stati Uniti. Per sopravvivere Arthur fece di tutto, dallo strillone al venditore di caramelle. Continuò però a studiare e a dedicarsi alla fotografia, diventando così quel fotografo che conosciamo oggi: una figura che ha saputo raccontare la New York nera, quella dei maliventi, dando dignità a una popolazione che viveva ai margini della società, trovando inaspettate forme di grazia nella loro violenza e nella loro tragicità.

Lavorava quasi esclusivamente di notte, partendo dal suo minuscolo appartamento di fronte alla Centrale di Polizia non appena la sua radio – sintonizzata sulle frequenze della polizia – lo informava di un nuovo crimine. Arrivando spesso prima delle stesse Forze dell’Ordine, Weegee ispezionava con attenzione ogni scena per trovare l’angolazione migliore. Gli omicidi, sosteneva, erano i più facili da fotografare perché i soggetti non si muovevano mai e non si agitavano.

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Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

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