Migrant mother

La foto-icona scattata dalla fotografa statunitense Dorothea Lange.

Il titolo di questa foto è Migrant mother ed è stata scattata nel 1936 a Nipomo, California, dalla fotografa Dorothea Lange. L’immagine è considerata un’icona della storia della fotografia.

La donna ritratta è Florence Owens Thompson, una donna di 32 anni, madre di sette figli, immortalata nei pressi di un campo di piselli in California dove era giunta dopo aver viaggiato su un camion con prole e marito: al momento dello scatto la famiglia si era fermata alla ricerca di un lavoro come raccoglitori agricoli (il titolo originale, infatti, è Destitute Pea Picker). La Lange scattando quella fotografia rese al meglio la resistenza di una nazione orgogliosa che si trovava nel bel mezzo di una crisi economica mai vista prima. Nel volto corrucciato della Thompson spicca lo sguardo totalmente perso con gli occhi carichi di tristezza e di una stanchezza che va ben oltre quella puramente fisica. Una sorta di rappresentazione della perdita di ogni speranza nel futuro e al tempo stesso la pesante consapevolezza e il senso di responsabilità dell’essere madre.

Migrant Mother (The Library of Congress)

“Appena la vidi mi avvicinai a lei, come attratta da una calamita. Non ricordo come riuscii a spiegarle la mia presenza, o la mia macchina fotografica, ma ricordo che non mi fece domande. Scattai le foto, avvicinandomi sempre di più dalla stessa direzione. Non le chiesi né il suo nome né la sua storia” (Da Popular Photography,  febbraio 1960).

Lo scatto originale (conservato alla Library of Congress di Washington) dove appare una mano in basso a destra, che però nella foto stampata è stata ritoccata.

Altri scatti della stessa serie

Un altro scatto della serie. (The Library of Congress)
(The Library of Congress)
(The Library of Congress)

Dorothea Lange: A Life Beyond Limits
La storica americana Linda Gordon racconta in questo libro la storia di Dorothea Lange: la poliomielite che la lasciò zoppa ma che la rese così volitiva; i circoli bohemien che frequentava a New York e poi a San Francisco; suo marito Maynard Dixon, pittore californiano in balia dell’immagine del vecchio West. Ma il libro racconta anche le storie che si celano dietro le fotografie della misera realtà dei quartieri disagiati che la Lange era solita fotografare, proprio come la storia di Florence Owens Thompson diventata oggi l’icona della Grande Depressione.

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

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