Kentstrapper, l’intervista e il
cortometraggio sulla maker family

Kentstrapper è la start-up fondata dalla famiglia Cantini, specializzata nella progettazione e produzione di stampanti 3D. Già da tempo si è parlato di questa realtà che è stata, tra l’altro, inserita tra gli innovatori italiani nel libro Cambiamo Tutto! (Laterza, 2013) di Riccardo Luna, editorialista di Repubblica e presidente di Wikitalia. La famiglia Cantini meritava un approfondimento e così abbiamo dapprima fatto loro un’intervista (gennaio 2014) e successivamente (ottobre 2015) siamo andati a trovare i suoi membri con i quali abbiamo passato un paio di giorni per farci raccontare la loro storia più approfonditamente.

Chi sono innanzitutto Lorenzo e Luciano? Quale è la vostra storia prima di Kentstrapper?
Siamo sempre stati grandi appassionati di tecnologia. Fin da piccoli il nostro divertimento più grande era quello di costruire “cose” con le nostre mani, recuperando materiali di scarto e provando ad aggiustare oggetti rotti che la gente buttava via. Forse, una vera e propria inclinazione di famiglia. Affascinati dal capire come funzionavano le cose, solitamente le smontavamo per poi cercare di rimontarle. Da tale innocente passione si è sviluppato l’interesse dapprima verso le costruzioni (lego, meccano etc) e successivamente verso i circuiti elettronici e le schede che muovevano e comandavano i diversi pezzi che costituivano l’oggetto che di volta in volta ci capitava per le mani.

La vostra prima creazione è stato un pantografo. Come lo avete costruito?
I primi esperimenti con le macchine automatiche risalgono a qualche anno fa, quando, per gioco, io e mio fratello provammo ad assemblare un pantografo CNC autocostruito con materiali di recupero. Qualche pezzo del lego, qualche motore recuperato da una vecchia stampante 2D, qualche pennarello, una scheda elettronica comprata su internet e infine la struttura era stata realizzata. Più complicato fu far funzionare in maniera adeguata questo piccolo pantografo.

The maker family_regista Greca Campus e Luciano Cantini
Backstage – Greca Campus e Luciano Cantini © Design Playground
The maker family_Luciano e Ugo Cantini
Backstage – Ugo e Luciano Cantini © Design Playground

Come è nata l’idea di Kentstrapper? C’è stato un momento preciso in cui si è accesa la lampadina per realizzare il progetto per le stampanti 3d?
Kentstrapper è una giovane impresa tecnologica con sede a Firenze. L’idea di fondare un’impresa che progetta, costruisce e vende macchine per la stampa 3D, ci venne quando durante un evento sull’efficienza energetica, presso la “Fortezza da Basso” a Firenze, a cui partecipava nostro padre. Notando l’interesse del pubblico che incuriosito si fermava davanti alla macchina per osservarne il funzionamento, abbiamo iniziato a pensare che forse, oltre al semplice divertimento, potesse esserci anche l’opportunità per creare un nuovo tipo di buisness. Da quel momento abbiamo allestito un piccolo laboratorio in garage per realizzare le nostre stampanti.

Come si è formato il gruppo di lavoro familiare? Che trascorsi hanno tutti gli altri membri della maker family?
Come anticipato il gruppo iniziale (Luciano, Lorenzo e il babbo Ugo) si è formato in seguito all’evento tenutosi a Firenze. Fondare e gestire un’azienda tuttavia richiede risorse sia economiche sia in termini di forza lavoro. Per far fronte a tale esigenza, abbiamo chiesto un aiuto al resto della famiglia. Gli altri membri hanno un curriculum assai diverso fra loro, c’è chi ha un passato da artigiano come il nonno, che si occupa di rifinire i pezzi plastici realizzati, oppure chi come i nostri cugini, studenti, si occupano dell’assemblaggio delle stampanti oppure dei video dimostrativi. Luciano è un ingegnere elettronico e si occupa della parte elettronica e della programmazione, Lorenzo, studente di archeologia, insieme al babbo Ugo, che ha una ditta di termoidraulica ed efficienza energetica, si occupano della parte meccanica.
A supportarci ci sono poi collaboratori con conoscenze meccaniche, di design e di altra natura.

Quando avete scoperto la RepRap e dove siete riusciti a recuperarla?
Fortunatamente per noi non siamo dovuti andare troppo lontano. Un ragazzo che abitava a Bologna per motivi di studio, possedeva infatti una stampante 3D derivata dal progetto RepRap, ma che non era riuscito a far funzionare correttamente. Gentilmente ci diede in prestito la macchina per studiarla e farla funzionare per bene. Fu così che dopo aver corretto gli errori di assemblaggio, elettrici e meccanici, cominciammo a stampare i pezzi della nostra prima stampante.

L’open source è un valore fondante del progetto RepRap e del vostro lavoro. Se così non fosse stato molto probabilmente non avreste potuto realizzare le vostre stampanti e allo stesso tempo i vostri progetti non sarebbero stati diffusi ad altri. Cosa ne pensate?
Il seguire una politica open source, permette di ricevere il supporto di una comunità che coopera insieme nello sviluppare nuove soluzioni e upgrade, nonché di risolvere in tempi molto più rapidi eventuali problemi che si possono presentare, grazie all’esperienza di qualcuno che ci è già passato e che vuole diffondere dei consigli. È vero che in questa maniera anche potenziali competitor risultano avvantaggiati, ma la concorrenza ci sarà sempre e quello che permette di sostenere il proprio business, a parer nostro, è il valore aggiunto che fornisci assieme al tuo prodotto, come una buona assistenza.

The maker family_Leonardo Rinaldi e Lorenzo Cantini
Backstage – Leonardo Rinaldi e Lorenzo Cantini © Design Playground
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Backstage – Maker Faire Rome – Lorenzo Cantini © Design Playground

A cosa serve una stampante 3d?
Le stampanti 3D nascono come macchine per la prototipazione rapida. Nel corso degli ultimi anni tuttavia, grazie anche allo sviluppo di nuovi materiali, sono diventate degli strumenti adatti per l’autoproduzione. I campi applicativi sono svariati, possono essere impiegate nel campo dell’industria meccanica, ceramica, del vetro per fare prototipi, oppure nel settore medico per realizzare copie di arterie, mascherine dentali, placche craniche, o ancora in ambito architettonico per realizzare plastici oppure essere impiegate da designer, ingegneri, creativi per realizzare fisicamente il modello di un loro concept o prodotto. In ambito domestico ed hobbistico è possibile effettuare piccole riparazioni oppure stampare alcuni modellini.

Le prime vostre stampanti 3d sono state Archimede e poi Galileo. Quali sono le differenze tra le due?
Entrambe nascono come stampanti derivate dal progetto RepRap, ma mentre Archimede era un prototipo sperimentale rimasto tale, il modello Galileo è stato sviluppato nell’ottica di avere un kit di montaggio con cui muovere i primi passi nel campo della stampa tridimensionale ed è stato così messo in produzione. Archimede essendo un prototipo era stato realizzato con pezzi di recupero, saldando insieme sbarre di acciaio per la struttura. Come gli altri modelli della famiglia RepRap presentava parti plastiche che potevano essere stampate dalla stampante stessa.

Alla fine nasce Kentstrapper Volta. Come ci siete arrivati e cosa ha di diverso dalle stampanti precedenti?
Il modella Volta è il frutto della collaborazione tra Kentstrapper ed uno studio di design (Tecnificio). È caratterizzato da una struttura in legno ad alta densità HDF e rispetto ai modelli precedenti ha prestazioni superiori in termini di risoluzione lungo l’asse verticale. In particolare è stata prestata particolare attenzione al design e alla silenziosità della macchina.

Come vedete l’evoluzione della stampa 3d in futuro? Credete che le stampanti 3d saranno nelle case di ciascuno di noi o pensate che il loro utilizzo sarà finalizzato perlopiù agli artigiani o alle scuole?
Come anticipato i campi applicativi per questa tecnologia sono molteplici. Non escludiamo che col passare del tempo oltre che nelle botteghe degli artigiani e nelle scuole, queste macchine potrebbero iniziare ad essere più presenti anche nelle case. Se da una parte usciranno stampanti più performanti e costose, dall’altra troveremo anche stampanti più economiche per uso domestico e non professionale.

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Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

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