Zimoun: 36 ventilators, 4.7m3 packing chips, 2014

Inaugura questo sabato (dal 26 aprile fino al 14 luglio), al Museo d’Arte di Lugano, in Svizzera, 36 ventilators, 4.7m3 packing chips, 2014, la nuova installazione di Zimoun, uno dei più brillanti artisti svizzeri delle ultime generazioni. Nato nel 1977 a Berna, dove tuttora risiede, con questa opera Zimoun amplia ancora una volta il suo inventario di installazioni. Nove imponenti finestre del museo vengono trasformate  in “camere di ventilazione” (quattro ventilatori sono installati in ogni finestra) e, riempiendole con del polistirolo, Zimoun scatena una perfetta tempesta di plastica. Congregati in una unica massa che non è né solida, né gassosa né liquida, i fiocchi si scatenano in una violenta e travolgente danza. Mentre dietro il vetro si scatenano un turbinio di forze, lo spettatore osserva al sicuro la meraviglia di questo spettacolo.

Zimoun è autore di opere che si basano sull’interazione fra piccoli meccanismi elettrici che producono movimenti ripetitivi – come l’oscillare di sfere o aste – e architetture esistenti o costruite dall’artista stesso con elementi modulari, come semplici scatole di cartone. Le installazioni così create suscitano nello spettatore meraviglia e sconcerto al tempo stesso. I meccanismi, disposti in successioni apparentemente infinite, interferiscono infatti visivamente e acusticamente con l’architettura, alterando in modo sorprendente la percezione dello spazio. Non siamo abituati ad associare il brulicare di movimenti ripetitivi con gli ambienti che abitiamo e la sollecitazione sensoriale prodotta dalle opere evoca in noi la frenesia inquietante degli alveari e dei formicai, trasferisce a spazi chiusi la somma di percezioni che siamo soliti trovare solo nella natura dove il rumore del vento si aggiunge al vibrare delle foglie e dell’erba, al gorgogliare dell’acqua e ai versi degli animali.

Zimoun : 36 ventilators, 4.7m3 packing chips, 2014 from STUDIO ZIMOUN on Vimeo.

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Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.