Anonima Impressori

Studio grafico, stamperia artigianale, archivio tipografico

Studio grafico, stamperia artigianale, archivio tipografico: Anonima Impressori fa dialogare tra loro in modo paritario stampa tradizionale e grafica contemporanea. Anonima Impressori mette in comunicazione la progettazione grafica moderna e digitale con antiche tecniche di stampa – xilografia, calcografia, tipografia a caratteri mobili – per aprire nuove strade progettuali. Crea prodotti per la comunicazione e per l’arte, applicando metodologie di stampa del passato a una moderna concezione del graphic design sviluppato attraverso supporti digitali. Introduce nella grafica contemporanea la mirabile abilità tecnica dello stampatore e lo straordinario spessore estetico e comunicativo del manufatto preindustriale.

Anonima Impressori svolge un’azione di tutela e salvaguardia di competenze e materiali preziosi, raccogliendo macchinari e caratteri, svolgendo ricerche e aggiornamenti su tecniche di stampa tradizionali, salvando dalla dispersione materiali rari, preservando una secolare sapienza artigiana e un patrimonio artistico e culturale immenso.

Da sinistra: Luca Lattuga, Roberto Malpensa, Veronica Bassini e Massimo Pastore

Come e quando nasce Anonima Impressori?
Anonima Impressori, nasce dall’incontro tra Luca Lattuga (componente del collettivo grafico Meat) e Veronica Bassini (stampatore e fondatore del progetto AttilaMarcel). Impegnati entrambi nell’attività di recupero dei caratteri e dei materiali tipografici, gettarono le basi per un discorso progettuale che trovò nel 2012 la sua concretizzazione attraverso il bando “Incredibol” per aspiranti imprese del Comune di Bologna. Il progetto vinse il concorso e a dicembre dello stesso anno la nostra “officina grafica” venne inaugurata, ponendo come base fondante la commistione tra progetto grafico e stampa artigianale in una continua e diretta relazione.

I mestieri della progettazione sono cambiati radicalmente negli ultimi trenta anni con l’informatica. Alcune cose si sono perse e altre se ne sono acquisite. Oggi una delle strade percorribili per chi decide di svolgere queste professioni è quella che coniuga la riscoperta del sapere artigiano e le possibilità che offrono i nuovi strumenti tecnologici. Vi ritrovate in questa visione?
A noi piace pensare che il primo strumento tecnologico in grado di fare la differenza sia il cervello e quello che può produrre. Detto questo, il computer ha sicuramente cambiato e velocizzato un iter lavorativo prima molto più lungo e dispendioso. Attraverso la scansione e catalogazione delle nostre matrici e dei nostri caratteri tipografici, lo utilizziamo come strumento per comporre e mescolare caratteri tipografici e matrici anticipando una visualizzazione fedele del prodotto finale. Costruiamo il progetto grafico, lo mostriamo al cliente e possiamo apportare delle modifiche in tempi rapidi, senza mettere mano ai materiali veri, non fino alla realizzazione definitiva del pezzo. Per quanto riguarda invece l’attività di stampa, le migliori tecnologie ancora oggi esistenti sul mercato, risalgono a più di cinquant’anni fa: la relazione tra l’artigianalità e nuovi strumenti tecnologici avviene quindi nel processo di progettazione più che in quello di produzione.

L’introduzione del digitale ha portato un notevole abbattimento dei costi e una riduzione dei tempi di lavorazione, perdendo però quella che Walter Benjamin definisce per le opere d’arte, “aura” (nel trattato L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica). È venuta meno quella artigianalità che rendeva, in qualche modo, unico il prodotto con il suo “calore” e le sue imperfezioni. La stampa analogica, combinata alle moderne tecnologie, può rappresentare un valore aggiunto al prodotto e alla sua comunicazione?
“Il processo di stampa tipografica imprime le lettere nella carta, mentre la stampa offset le adagia sulla superficie. Da questa differenza peculiare della tecnica di stampa derivano molte sottili conseguenze”. Così scriveva Robert Bringhurst nel suo libro Gli elementi dello stile tipografico. Si potrebbe dire che la stampa “analogica” di qualità non sia in assoluto più imperfetta di quella digitale: dovremmo semmai stabilire quali siano le caratteristiche necessarie o da soddisfare. Paradossalmente, nella tipografia canonica la pressione del carattere sulla carta era vista come un difetto. La stampa di qualità evitava tutte quelle imperfezioni che ora vengono considerate come caratteristiche positive, anzi identificative: ciò che rappresentava un difetto nella tipografia canonica della seconda metà del 900 viene oggi in molti casi considerato una qualità. Noi pensiamo che un certo tipo di matericità ed effetti abbiano valore, che non è però autosufficiente; prende corpo nel momento in cui viene supportato da un pensiero progettuale valido. Una grafica mal progettata rimane tale anche se stampata con la pressione e stampare con materiali antichi non equivale ad un risultato di pregio.
Detto questo, la recente predominanza della stampa e della comunicazione digitale ha fatto sì che si creassero degli spazi dove l’attenzione al dettaglio e alle caratteristiche materiche di alcuni artefatti ritornano ad avere un peso ed un’importanza; rimane tuttavia fondamentale valorizzare il carico culturale che essi portano con sé. Si tratta di divulgare, sensibilizzare e promuovere un ambito culturale vastissimo che va dalla qualità della carta al disegno del carattere. Un mondo insomma che ha la necessità di ricollocarsi e riconquistarsi un suo posto.

Nella vostra ricerca di macchine da stampa e alfabeti svolgete anche un’opera di conservazione. Quanti e quali i “recuperi” più pregiati?
Abbiamo viaggiato su e giù per lo stivale e abbiamo visitato forse 200 tipografie. Molti bellissimi materiali erano stati abbandonati da decenni ed erano in pessime condizioni. Fra quelli più pregiati ricordiamo Cuneo alla tipografia Ghibaudo, oppure Modena alla tipografia STEM-Mucchi. Oppure la tipografia Grassigli di San Giovanni in Persiceto aperta dal 1896 e chiusa due anni fa. La signora Elisabetta aveva conservato molti caratteri di inizio ‘900 e due bellissimi e rari campionari delle fonderie Fiazza e Radaelli di Milano datati 1900. Tra gli ultimi un carattere raro Irma, nel quale i glifi sono rami d’albero, di cui Anonima Impressori possiede l’unico set completo ad oggi conosciuto.

Un recente libro di grande successo parla di “Futuro Artigiano” (di Stefano Micelli per Marsilio Editore) e anche il mondo della progettazione si sta muovendo sulla strada dell’autoproduzione. Avete progetti in cantiere a questo proposito?
Eccome, stiamo progettando il nostro secondo Memory tipografico. Utilizzeremo solo caratteri e fregi di inizio novecento, per valorizzare una parte del nostro archivio di materiali antichi, stampando interamente le carte con caratteri mobili, il tutto racchiuso in una confezione numerata. Un po’ gioco un po’ cultura tipografica, riporterà nel bugiardino i nomi e le provenienze dei caratteri utilizzati per comporre l’intero abecedario.

Come conciliate il vostro lavoro con le opportunità che offrono i nuovi media? I nuovi formati per tablet o gli e-book possono aprire altre strade di contaminazione e progettazione o rappresentano un mondo diverso dal vostro?
I nuovi media sono canali utilissimi per aumentare e accelerare processi di divulgazione e diffusione, necessari per una maggiore comprensione e affiliazione al mondo della stampa e della cultura tipografica; veicolano e amplificano i contenuti, senza entrare né in conflitto né in sostituzione.

Molti giovani decidono di cercare fortuna altrove, voi invece siete rimasti. La creatività italiana, plasmata dalle peculiarità culturali del nostro paese, può essere un elemento determinante per uscire dalla crisi economica?
La “creatività italiana”, intesa come una scontata condizione fluttuante geograficamente circoscritta, per noi non esiste, se non come etichetta, mentre le peculiarità culturali del nostro paese, quelle positive intendo, appartengono purtroppo a periodi ormai molto lontani. Quello che per noi esiste (o forse esisteva?) sono le eccellenze dimenticate.

Durante tutto l’anno organizzate vari workshop sui principi della stampa a caratteri mobili e sulle sue caratteristiche principali. I workshop sono rivolti anche ai progettisti grafici, in quale maniera possono esserne arricchiti?
Conoscere e vedere da quali materiali ha avuto origine la grafica è importante per chi si occupa di progetttazione visiva. Inoltre, il workshop offre la possibilità di ragionare e progettare partendo da materiali esistenti che hanno delle limitazioni fisiche oggettive.
Questo pone il progettista in una diversa prospettiva: deve accantonare momentaneamente l’utilizzo del computer (che rimane comunque uno strumento tra gli altri strumenti) per “costruire” grafica nel vero senso della parola. Utilizza materiali tridimensionali che hanno limitazioni quali proporzioni e orientamenti fissi, con i quali entra in relazione per arrivare a comporre lettere, quindi forme dal significato oggettivo. L’obbiettivo è, dopo un processo di sperimentazione e di tentativi, elaborare una formula grafica ripetibile su ogni singola lettera di un ipotetico abecedario dalle specifiche caratteristiche. E sporcarsi le mani diventa una maniera molto concreta per noi di imprimere nel tempo esperienze e conoscenze.

Li potete trovare su facebook flickr.

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Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

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