“Un poeta palestinese siriano e un giornalista italiano incontrano a Milano cinque palestinesi e siriani sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra, e decidono di aiutarli a proseguire il loro viaggio clandestino verso la Svezia. Per evitare di essere arrestati come contrabbandieri però, decidono di mettere in scena un finto matrimonio coinvolgendo un’amica palestinese che si travestirà da sposa, e una decina di amici italiani e siriani che si travestiranno da invitati. Così mascherati, attraverseranno mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri. Un viaggio carico di emozioni che oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque palestinesi e siriani in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un’Europa sconosciuta. Un’Europa transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della Fortezza con una mascherata che ha dell’incredibile, ma che altro non è che il racconto in presa diretta di una storia realmente accaduta sulla strada da Milano a Stoccolma tra il 14 e il 18 novembre 2013.”
Questa la sinossi di Io sto con la sposa, film documentario realizzato da Antonio Augugliaro, regista, Khaled Soliman Alnassiry, poeta palestinese-siriano e il giornalista Gabriele Del Grande. Una storia che ha dell’incredibile…perché è realmente accaduta. Ma partiamo dall’inizio. Tutto nasce una sera di fine ottobre del 2013 dopo un lungo periodo durante il quale i tre autori stavano vivendo da vicino le tragedie della guerra in Siria.
“Da quando la guerra ci era entrata in casa, non parlavamo d’altro. Delle migliaia di persone in fuga dalla guerra in Siria che ogni giorno arrivavano a Milano dopo essere sbarcate a Lampedusa. Alcuni capitava di ospitarli direttamente a casa nostra e di ascoltare i loro racconti sulla guerra e sui naufragi. Ripartivano tutti nel giro di pochi giorni, sempre senza documenti, pagando cifre da capogiro ai contrabbandieri che li portavano in Svezia. Ma l’eco dei loro racconti continuava a risuonare nelle nostre case e nelle nostre teste. Fino a quando abbiamo deciso di fare qualcosa.”
Così per caso sorge una domanda: “Quale poliziotto di frontiera chiederebbe mai i documenti a una sposa?” “Nessuno” è la risposta. L’idea all’inizio sembrava più una battuta che altro. Ma poi lentamente ha preso forma. E quando hanno conosciuto Abdallah, Manar, Alaa, Mona, Ahmed e Tasnim quella che era soltanto un’idea si è concretizzata. All’alba del 14 novembre 2013, ventitré tra ragazzi e ragazze si sono incontrati davanti alla stazione centrale di Milano. Amici italiani, palestinesi e siriani. Chi coi documenti, chi senza, ma tutti vestiti eleganti come se stessero davvero andando a un matrimonio. Da quando la prima volta avevano parlato della sposa, erano passati esattamente 14 giorni.
È difficile spiegare come siamo riusciti in così poco tempo, e senza soldi, a individuare i personaggi del documentario, a scrivere il trattamento del film e a mettere in piedi una troupe cinematografica. E tutto questo mentre nel frattempo ci occupavamo della logistica del viaggio: noleggiare le automobili, stabilire le tappe, cercare ospitalità. E soprattutto mentre attraversavamo Milano in lungo e in largo alla ricerca di un parrucchiere dove tirare al lucido le acconciature dei nostri cinque personaggi sbarcati due settimane prima a Lampedusa, e di un negozio dove poter comprare cravatte, camicie, completi eleganti e soprattutto un vestito da sposa a prezzi stracciati. Anche se poi, più che il vestito, il difficile è stato trovare la sposa. Le prime due ragazze siriane a cui l’abbiamo chiesto, ci hanno dato buca. Ormai avevamo deciso che Tareq si sarebbe travestito da sposa. E invece alla fine, ci siamo ricordati che Tasnim era in Spagna. L’abbiamo chiamata ed ha accettato entusiasta. E per fortuna, perché era lei la sposa perfetta per questo film!
Non sono stati scritti né dialoghi né personaggi, ma è stato organizzato il viaggio ragionando per scene, racconta il regista, immaginando le situazioni all’interno delle quali far muovere liberamente i personaggi, ormai abituati alla presenza delle telecamere. Tuttavia le riprese hanno sempre dovuto mediare con le esigenze dell’azione politica. Perché in Svezia ci dovevano arrivare per davvero, non soltanto per fare un film. E dovevano arrivarci nel più breve tempo possibile, cosa che ha comportato ritmi di lavoro durissimi: dodici ore di macchina al giorno, scene da filmare, file da scaricare e quando andava bene tre ore di sonno a notte.
Condividere un grande rischio e un grande sogno, ci ha inevitabilmente unito. E quell’esperienza ha cambiato il nostro sguardo sulla realtà, aiutandoci anche nella ricerca di una nuova estetica della frontiera. Di un linguaggio cioè che, senza cadere nel vittimismo, sia capace di trasformare i mostri delle nostre paure negli eroi dei nostri sogni, il brutto in bello, i numeri in nomi propri.
Il rischio che corrono i tre registi è la reclusione fino a 15 anni per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Ma i ventimila morti in frontiera nel Mediterraneo sono abbastanza per dire basta. Vittime di leggi alle quali è arrivato il momento di disobbedire. Per questo sono stati pronti a correre il rischio. Perché aiutare anche una sola persona ad uscire da quel mare di sangue li fa sentire dalla parte del giusto e hanno ragione a sostenerlo.
Quello che questi ragazzi hanno messo in atto ha dell’incredibile, come tutto ciò che è mosso dall’umanità e dall’amore. E anche noi come loro crediamo che questo sia un film manifesto in cui ci si può riconoscere o meno ma al quale non ci si può porre in modo indifferente. Si può scegliere se stare dalla parte della “legalità” o dalla parte di chi auspica che questo mare smetta di ingoiare le vite dei suoi viaggiatori e torni ad essere un mare di pace, un mare dove tutti siano liberi di viaggiare, e dove nessuno divida più gli uomini e le donne in legali e illegali.
Questo film ha bisogno di aiuto per essere realizzato e presentato al festival di Venezia nelle sale in autunno. Contribuire non significa sostenere solo i tre registi, ma dimostrare soprattutto quanto è vasta la comunità che ama le culture e che si batte perché il Mediterraneo non sia soltanto un cimitero, ma un mare che unisce i diversi popoli. Quella comunità esiste. È fatta delle persone che hanno ospitato tutti i ragazzi e le ragazze durante il loro viaggio attraverso l’Europa. E di tutti coloro che leggono queste righe.
CROWDFUNDING
Il progetto di Io sto con la sposa, lanciato il 19 maggio online con un crowdfunding ha già raccolto oltre 35mila euro dei 75mila necessari per pagare parte della produzione e la distribuzione.
Design Playground sta dalla parte della sposa. E voi?
CREDITS
Soggetto, sceneggiatura e regia
Antonio Augugliaro
Gabriele Del Grande
Khaled Soliman Al Nassiry
con
Tasneem Fared, Abdallah Sallam, MC Manar, Alaa Bjermi, Ahmed Abed, Mona Al Ghabr, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry, Tareq Al Jabr, Marta Bellingreri, Rachele Masci, Chiara Denaro, Valeria Verdolini, Elena Bissaca, Ruben Bianchetti, Daniele Regoli, Marco Garofalo, Silvia Turati, Gina Bruno.
Operatori di ripresa
Antonio Augugliaro
Gianni Bonardi
Marco Artusi
Valentina Bonifacio
Fotografo di scena
Marco Garofalo
Suono in presa diretta
Tommaso Barbaro
Sound design e montaggio del suono
Tommaso Barbaro
Sound mix
Massimo Mariani
Musiche Originali
Dissòi Lògoi
Tommaso Leddi
Matteo Maltauro
Alberto Morelli
Franco Parravicini
Federico Sanesi
MC Manar
Mosè – C.O.V.
Calligramma locandina
Khereddin Obed