“Artigianato e Design:
il valore del brand culturale”


In occasione della prossima Strategic Arts Management master class, che si terrà il 14 e il 15 novembre Venezia presso Palazzo Franchetti (sede di IED Venezia) e che ha come tematica “Artigianato e Design: il valore del brand culturale”, abbiamo intervistato il responsabile scientifico Michele Trimarchi e la Dott.ssa Federica Preto, di Arte Artigiana, entrambi esperti di design e processi creativi.


Nonostante nel primo trimestre di quest’anno si sia registrato qualche timido segnale di ripresa, negli ultimi 5 anni l’artigianato ha avuto un crollo pesante con la chiusura di circa 75.500 aziende in tutta Italia. Per quale motivo secondo voi questo settore ha sofferto più di altri?

F.P. È in atto una trasformazione che non è solo economica, ma anche sociale e culturale. Darwin sosteneva che “Non è la specie più intelligente a sopravvivere e nemmeno quella più forte. È quella più predisposta ai cambiamenti”. Purtroppo gli artigiani per anni hanno pensato solo a lavorare dentro i loro laboratori e a nient’altro. Adesso a loro si chiede di “cambiare”: diventare comunicatori, innovatori, di guardare il loro lavoro da un altro punto di vista. Di fare un “salto”, una trasformazione. Ma l’artigiano ha bisogno di tempi lunghi e il mondo fuori viaggia a una velocità incredibile. Non tutti lo capiscono e non tutti ce la fanno. ARTE ARTIGIANA è nata da aziende artigiane che, in tempi “poco sospetti”, questo salto lo hanno già compiuto portando a dei risultati molto soddisfacenti. Queste stesse aziende credono che la loro esperienza possa ora aiutare altre aziende a compiere questo difficilissimo passo.

Cosa rappresenta oggi il Made in Italy e in che modo i legami tra produzione e territorio ci mostrano che siamo di fronte a un vero e proprio brand culturale?

M. T. Made in Italy è un’etichetta forse abusata, che ha attraversato stagioni diverse (e diversamente fortunate). Il tempo ci spinge verso un sistema economico basato sulla morbidezza e sull’esperienza, tracce fondanti dell’artigianato italiano, del design dei primi anni Settanta e di molte prospettive in emersione. Il nostro brand è dunque una filosofia di vita, un approccio alla creatività e alla costruzione di oggetti amichevoli, che sappiano combinare una incisiva utilità con un’intensa capacità di rappresentarci. La scommessa di oggi riguarda dunque una società in ebollizione che pone urgenze inaspettate e sta scrivendo un nuovo vocabolario della qualità della vita. Il Made in Italy ne può diventare un interprete unico e riconosciuto da tutte le culture del mondo.

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© Shutterstock.com/KhakimullinAleksandr

Quali sono (e sono stati negli ultimi anni) i mezzi che hanno avvicinato il design alla produzione artigianale (e viceversa), creando una sinergia per uno nuovo modello produttivo?

F.P. La richiesta di cambiamento passa anche e specialmente nell’innovazione di prodotto: nella nostra attività lavorativa incontriamo molte volte aziende che operano nello stesso modo da anni, addirittura da generazioni. I progetti su cui lavoriamo sono quelli in cui si affiancano all’interno dei laboratori “altre” figure che possano dare valore al “saper fare”. Uno dei settori a cui attingiamo è quello del design: concorsi, progetti di collaborazione, laboratori integrati, progetti di crowsourcing; purché sia l’artigiano che il designer siano disposti ad ascoltare e a collaborare l’uno con l’altro. Proprio per questo è nato, all’interno di ARTE ARTIGIANA, V-HUB Design, dove i designer possono associarsi: lo scopo è quello di creare un gruppo di professionisti che possa dialogare con aziende e creare collaborazioni per nuovi progetti tra artigianato e design.

Il mondo dell’innovazione, come quello dei makers o dei FabLab, può rappresentare uno dei collanti tra design, innovazione e artigianato tradizionale?

M.T. Il mondo dell’innovazione altro non è che artigianato e design con una banda larga di strumenti tecnici che ne espandono il ventaglio della manifattura ma anche, al tempo stesso, le opzioni espressive. Certo, trattandosi di un fenomeno emergente e non ancora consolidato (per quanto sempre più diffuso) inevitabilmente attiva reazioni binarie: c’è chi ne è un entusiasta apostolo senza se e senza ma, e chi al contrario ne è diventato un feroce detrattore. La realtà, per fortuna, occupa quella fertile area grigia nella quale i giudizi e le sentenze vanno sostituiti rapidamente da curiosità e immaginazione.

Nel settore dell’artigianato l’importanza di fare cultura è spesso lasciata in secondo piano. Quanto sono essenziali la formazione, la comunicazione e le tecnologie nel legame tra territorio e design e tra produzione e artigianato?

F. P. Come dicevo prima siamo i testimoni di un cambiamento epocale che sta investendo tutti i settori. Se l’artigiano vuole esserne un protagonista, e non solo viverlo come spettatore, dove cominciare a cambiare il suo modo di pensare e di “fare impresa”: non ci si può concentrare solo sul prodotto, ma anche sul fare cultura attraverso di esso. Si chiede condivisione, collaborazione, sinergia ed “empatia”. Tutte cose che si possono apprendere solo se si passa per la formazione: l’artigiano (ma anche il designer) deve puntare sul proprio accrescimento personale in modo da poterlo poi trasmettere nel proprio lavoro. Frequentare corsi, incontri e laboratori per condividere esperienze, per imparare a dialogare e a confrontarsi con argomenti nuovi; visitare mostre, leggere libri; tutte cose che aprono la mente e fanno vedere tutto da un’altra prospettiva, arricchendo anche il proprio lavoro. La formazione quindi non deve essere presa come un passatempo, ma una vera e propria attività d’impresa, almeno quanto l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione (grazie ad internet disponibili anche a costi molto bassi) e l’utilizzo delle tecnologie (basti pensare alle potenzialità che lo smartphone può offrire per sviluppare la propria impresa ad essere più efficiente). Essere curiosi, grandi osservatori e aperti alla contaminazione con tutto ciò che succede attorno a noi permette di diventare molto più interessanti agli occhi di qualsiasi cliente. ARTE ARTIGIANA di tutto questo ne ha fatto la propria missione.

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© Shutterstock.com/angellodeco

Come responsabili del progetto formativo Strategic Arts Management master class, in che modo ritenete che questo progetto possa gettare le basi e fornire strumenti operativi per l’ideazione, la gestione e la comunicazione di idee e di prodotti di design e artigianato? Con quale metodo?

M. T. Strategic Arts Management cammina lungo un percorso chiaro, che intende superare in modo radicale i protocolli accademici secondo cui il docente conosce le cose e il discente non può che aderire al suo deposito di informazioni. Quel mondo, che tuttora cerca nostalgicamente di resistere al cambiamento, privilegia l’erudizione rispetto alla cultura, e la quantità bruta di nozioni rispetto alla capacità critica di connettere quanto si sa e si sa fare. In questo senso il nostro progetto si fonda su un reticolo continuo di scambi e stimoli, orientato alla costruzione di nuovi orizzonti che risultino dalla capacità di ogni professionista di mettere in moto l’intuizione, il sentimento e la lucidità: pancia, cuore e cervello.

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.