“Choros” è un film sperimentale del 2011 diretto da Michael Langan e Terah Maher, che si rifà alla tradizione con l’intenzione di modernizzare una tecnica visiva sviluppatasi per studi scientifici nel 1880.
Alla fine del XIX secolo si sviluppò una tecnica fotografica denominata “cronofotografia”, per la quale più fotografie venivano scattate in rapida successione per studiare il movimento di un determinato soggetto. Nel 1878, in una celebre sequenza, Eadweard Muybridge riprese un cavallo in corsa offrendo al mondo il primo assaggio di immagini in movimento visualizzate tramite uno zootropio, un dispositivo ottico per visualizzare immagini, disegni, in movimento, inventato da William George Horner nel 1834. Una serie di disegni riprodotta su una striscia di carta, viene posta all’interno di un cilindro dotato di feritoie a intervalli regolari (una per ogni immagine), atte a visionare le immagini stesse. Grazie al principio della persistenza retinica, la rapida successione di immagini conferisce l’illusione di movimento.
Diversi anni dopo, il fisico francese Etienne-Jules Marey sviluppò una variante sorprendente di questa tecnica acquisendo più pose di un soggetto nel tempo su un singolo fotogramma del film, per ottenere una sorta di eco visiva. La natura di questo processo limitava tuttavia il soggetto che doveva essere fotografato in uno studio molto scuro e con una forte illuminazione per evitare la sovraesposizione dello sfondo quando più immagini si stratificavano l’una sull’altra.
Nel 1968, solo sei anni prima che Steve Reich iniziasse a comporre “Music for 18 Musicians” (colonna sonora di “Choros”), Norman McLaren adattò la tecnica di stratificazione di Marey ad un film innovativo intitolato “Pas de Deux”. Tuttavia, la natura additiva delle esposizioni multiple in fotografia trattate chimicamente, limitò McLaren ancora nei confini di una scatola nera con un’illuminazione laterale ad alto contrasto.
“Choros” rivisita queste innovazioni tecniche e cerca di contribuire con innovazioni originali proprie. Sfruttando i recenti progressi nella composizione digitale, la tecnica sviluppata per questo progetto, infatti, introduce colori, libera il film dai confini di uno studio con fondale nero e permette al ballerino di soffermarsi in una posizione senza rischio di sovraesposizione. Un’evoluzione di questa tecnica antica che permette di raggiungere un grado di finezza finora impensabile a causa delle limitazioni tecniche.