Quando Johann Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili nel quindicesimo secolo, spianò la strada per la progressiva proliferazione della parola stampata.
Sarebbe stata quindi una banale e naturale intuizione utilizzare la tecnologia di stampa per creare una macchina sostitutiva della scrittura a mano. Ingegneri e inventori dell’epoca erano tra l’altro avvezzi a scoperte e costruzioni ben più ardite. Un orologio, ad esempio, aveva (ed ha tutt’ora) un meccanismo che sembrerebbe molto più complesso di quello di una macchina da scrivere. Allora perché si costruirono soltanto quattrocento anni dopo?
La risposta è abbastanza semplice. In un mondo in cui il lavoro a basso costo era abbondante e dove le macchine erano costose, non ce n’era bisogno. E fu così fino al diciannovesimo secolo quando la produzione industriale fu automatizzata e si capì che i tempi erano maturi per la macchina da scrivere.
Sono diversi e di diversa nazionalità gli inventori ai quali viene attribuita la sua creazione. È probabile che più persone abbiano lavorato contemporaneamente ad idee simili senza necessariamente essere a conoscenza l’uno del lavoro dell’altro.
In Italia si ha notizia di una macchina da scrivere funzionante nei primi anni del XIX secolo. Una ne fu inventata dall’avvocato novarese Giuseppe Ravizza nel 1846 con scopi umanitari, poiché egli voleva far sì che anche i ciechi potessero scrivere grazie a questa macchina brevettata come cembalo scrivano nel 1855.
Ben presto la macchina da scrivere prese il suo legittimo posto tra le grandi invenzioni della tecnologia delle comunicazioni del diciannovesimo secolo a fianco al telegrafo, al telefono, alla fotografia e al grammofono e si guadagnò un posto di rispetto nelle case più ricche. Svolse un ruolo di grande rilevanza nella storia sociale e, come con la bicicletta, uno degli aspetti più importanti e tangibili della nuova tecnologia fu il suo ruolo, di grande importanza per l’emancipazione delle donne, grazie al nuovo settore occupazionale, la dattilografia, che si creò con la sua diffusione.
Come è il caso in ogni rivoluzione culturale, gli artisti si sono affrettati ad appropriarsi di questo apparecchio per divulgare il proprio messaggio. La prima artista che divenne celebre per l’utilizzo che ne fece, apparentemente rigoroso, fu Flora FF Stacey con il suo disegno di farfalla del 1898.
Il volume Typewriter Art: A Modern Anthology, di Barrie Tullett, ed edito da Laurence King, racconta la storia di questa particolare forma artistica attraverso un ampio materiale illustrativo che copre quasi 130 anni di storia. Trovano spazio anche interviste con alcuni degli artisti contemporanei più importanti del settore. Il libro si rivolge a progettisti grafici, tipografi, artisti e illustratori e a chiunque sia affascinato dalla tecnologia pre-digitale.
Barrie Tullett è Senior Lecturer in Graphic Design presso la Lincoln School of Art and Design, e co-fondatore di The Caseroom Press, casa editrice indipendente di libri d’artista con sede a Lincoln ed Edimburgo. Come graphic designer freelance ha lavorato, tra gli altri, per Canongate Books, Princeton University Press e Penguin Books.
Il progetto grafico è di Mucho