Intervista a Gianluca Folì

L'illustratore ha ricevuto la Medaglia d'oro della Society of Illustrators

Gianluca Folì è un talentuoso e pluripremiato illustratore che, dal suo studio tra i vigneti dei Castelli Romani vicino Roma, collabora con diversi clienti in tutto il mondo. Lo scorso febbraio gli è stata consegnata a New York la medaglia d’oro della Society of Illustrators e con l’occasione di questo importante riconoscimento abbiamo deciso di farci raccontare la sua storia, il suo lavoro e le sue passioni.

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In una intervista hai detto di aver saputo di voler fare l’illustratore fin da piccolo e ne hai avuto sempre paura. Perché?
Credo perché, il disegnare, è un lavoro che mette sempre un bel po’ a nudo. Bisogna tener conto che si mette a disposizione degli altri la propria visione delle cose e che questo comporta un giudizio esterno. Si può non essere pronti. Temere le opinioni. Ma più di tutto, temere il fallimento. Un demone con cui ogni giorno ancora faccio i conti.

Come mai hai scelto l’acquerello? Qual è la caratteristica che ami di più di questa tecnica?
Negli anni precedenti alla professione, utilizzavo tecniche pittoriche acriliche molto pesanti. Me ne volevo liberare così ho scelto di ripartire da zero con strumenti apparentemente semplici e un linguaggio rinnovato. Non sono un acquerellista puro, mischio inchiostri con acquerello e sumi vari, ma amo profondamente il peso espressivo dell’acqua colorata.

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Una delle copertine realizzate tra il 2008 e il 2015 per Feltrinelli Editore. Questa è l’illustrazione che è valsa a Gianluca la medaglia d’oro della Society of Illustrators.

Secondo Kandinskij “il colore è un mezzo di esercitare sull’anima un’influenza diretta.” Ci sono dei colori che privilegi nei tuoi disegni perché pensi esercitino una qualche influenza su di te o su chi guarda?
Non ero consapevole di avere una palette colori precisa con cui lavorare benché sin da subito abbia capito il potere di alcuni accostamenti. Ripercorrendo questi ultimi anni di lavoro ho riscoperto alcune cromie ricorrenti legate fortemente alle sensazioni che ricerco nelle mie illustrazioni come l’eleganza del rosa, del grigio e del verde e l’onirico del giallo, del celeste e del nero.

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Illustrazione per l’articolo de L’Espresso “Who has fear of science” (2015)
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Affiche per EXPO2015

Quanto nell’immaginario dei tuoi disegni c’è di reale?
Il mio immaginario si basa tutto sulla rielaborazione della realtà. L’immaginazione e l’intelletto ricostruiscono di volta in volta il mio mondo.

E quanto c’è della tua infanzia?
L’unica cosa che porto con me dall’infanzia è il piacere e la scoperta del disegnare.

Ci sono pratiche e abitudini che servono a farti concentrare o a darti ispirazione?
Se posso mi preparo una tisana o un tè prima di cominciare. Quando poi il lavoro si presenta impegnativo faccio una piccola passeggiata per schiarire le idee e caricare le energie.

Come suddividi il tuo lavoro tra carta e digitale?
Il processo ora è chiaro ma all’inizio è stato molto difficile bilanciarlo. È sempre stata mia intenzione creare immagini che avessero, apparentemente, una tecnica semplice. La giusta soluzione è stata lavorare in analogico su linea e colore per poi montarli in digitale, come fossero tanti fogli acetati.

Ami molto lavorare ai libri d’infanzia? Perché?
In realtà amo lavorare su testi stimolanti, che schiudono visioni e frammenti di immagini che potrebbero accompagnare ed arricchire il testo. Per adesso è capitato maggiormente con storie da picture book ma nel cassetto ho un piccola pila di libri classici che mi piacerebbe illustrare.

C’è una iconografia di riferimento alla quale ti senti di essere vicino o che pensi ti abbia formato e aiutato a delineare il tuo stile?
Si raccolgono tante informazioni negli anni che se pure ce ne fosse stata una, si è sciolta con mille altre. Sto imparando durante il viaggio che il proprio mondo, quello che si mette in gioco ad ogni immagine, si crea e si rafforza con una ricerca che deve puntare all’approfondimento. La forma e il contenuto della scelta fatta per rappresentare questo mondo crea un percorso. E non ha importanza se sia un percorso commerciale o artistico (che vivono tranquillamente insieme). Il lavoro onesto e professionale rimane nel tempo.

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Illustrazione per un articolo di Michele Serra pubblicato su L’Espresso (2015)
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Una delle illustrazioni per il libro Piccola fiaba edito da Rrose Sélavy editore (2015)

L’illustrazione in questi ultimi anni in Italia sta vivendo un periodo d’oro, basti pensare ad una iniziativa come quella di Illustri che ha riscosso un “inaspettato” successo di pubblico. Pensi si stia finalmente scoprendo anche in Italia il valore di questa professionalità?
Vado molto cauto sull’argomento per non cadere in facili entusiasmi o superficiali conclusioni. Le qualità degli illustratori italiani (pochi), è indiscussa all’estero da anni. Toccava ricordarlo qui da noi. Illustri in questo senso ha fatto la differenza tra un prima e un dopo. Non stupisce l’entusiasta accoglienza del pubblico e degli addetti ai lavori.
Ha creato collegamenti diretti e veri fra l’illustrazione e la committenza e si è posto come tramite educativo fra i due.
L’età d’oro però è ancora lontana. C’é molto, molto da fare. La questione è ampia ma credo ruoti intorno a due punti principali: un mercato piccolo al limite del ridicolo, che non si vergogna di esserlo; una mancata coscienza collettiva e individuale sul senso ultimo della professione.

Qualche giovane illustratore italiano che apprezzi particolarmente?
Qui da noi sei un giovane emergente a tempo indeterminato quindi devi pensarci sopra un poco per trovare un vero giovane. Mi viene in mente Gloria Pizzilli che porta avanti con una forza sorprendente il suo lavoro.

La musica è parte del tuo processo creativo? Se sì, c’è un album o un artista che stai ascoltando in questo momento?
È la parte che entra in gioco dopo il primo processo creativo ossia la ricerca del soggetto, come dire quel che si deve dire. Dopo mi rilassa e stempera la tensione accumulata all’inizio. In questo momento sto ascoltando con una certa frequenza “II” dei Moderat e l’onnipresente “Tomorrow’s Harvest” degli immensi Boards of Canada.

Dici di amare i buoni libri e la buona cucina. Ci consiglieresti uno dei libri a cui sei più legato e una delle tue ricette preferite?
I libri come la musica si legano a particolari momenti della vita e quindi ai ricordi. Non ho un solo libro da consigliare quindi ne scelgo tre: Siddharta, Lo Hobbit ed il Ciclo di Dune. La mia ricetta è senza dubbio la pasta cacio e pepe. Tre ingredienti semplici, che creano un piatto eccezionale.

A cosa stai lavorando ora?
Sto lavorando al mio portfolio, ad alcune copertine, a qualche articolo di magazine, ad un libro importante per me.

C’è una domanda alla quale avresti voluto rispondere e non ti abbiamo fatto?
“Perché ci metti cosi tanto a rispondere alle interviste?” ;)

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Illustrazione di copertina per il libro La prima persona di Ali Smith
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Illustrazione di copertina per il libro Dimentica la notte di Giulia Villoresi
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Una illustrazione della fiaba Re Micio edito da Rrose Sélavy editore (2014)
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Illustrazione per il libro La scimmia con i testi di Davide Calì ed edito da ZOOLibri (2014)
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Illustrazione per il libro La scimmia con i testi di Davide Calì ed edito da ZOOLibri (2014)
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Illustrazione per il libro Alice in evolution land pubblicato in Spagna da Crìtica (2013)
Copertina per la rivista spagnola Le Cool
Copertina per la rivista spagnola Le Cool
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Progetto personale
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Illustrazione per il libro L’orso con la spada con i testi di Davide Calì ed edito da ZOOLibri (2008)
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“Presagio di primavera”, cover per Taproot Magazine (2006)
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“Kumas”, progetto personale (2006)
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Advertising in Time Square Garden per MDVip hospital and medical care (2011)
Advertising in Time Square Garden per MDVip hospital and medical care (2011)
Advertising in Time Square Garden per MDVip hospital and medical care (2011)

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.