Il “concorso dei concorsi” promosso da Aiap e Isia

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Dal sito di AIAP, Associazione Italiana design della comunicazione visiva:

Spiegare uno scherzo è un po’ come spiegare una barzelletta, però poiché lo stato dei concorsi italiani ha ormai raggiunto il livello della boutade sempre e costantemente, abbiamo voluto fare un test, approfittando del 1 aprile. E i risvolti sono stati sorprendenti.

Una premessa:
La provocazione ha visto come promotori l’Aiap e l’ISIA, ritenute punti di riferimento tra le istituzioni che si occupano di comunicazione visiva, affiancate e spalleggiate dalle altre associazioni di categoria, in prima fila l’ADCI. Non è un caso questo, perché da istituzioni attente alla qualità e alle culture del progetto, volevamo tastare con mano fin dove ci si poteva spingere.

Il fatto.
Negli ultimi anni abbiamo monitorato, protestato, denunciato concorsi capestri o stilati male, concorsi che non rispettano la nostra professione, concorsi che, soprattutto, non rispettano il fruitore finale, quel cittadino cui tutte le forme di comunicazione devono essere rivolte con il massimo rispetto. Abbiamo seguito e monitorato e a ogni concorso ci siamo stupiti sempre un po’ di più per la fantasiosità delle richieste e delle modalità, fino a chiederci: “ma se inventiamo un concorso palesemente demenziale, è mai possibile che qualcuno lo possa prendere realmente sul serio”?

I risvolti.
Beh, ancora una volta la realtà è riuscita a stupirci e ben più di una persona ci è cascata in pieno. Ci sono stati quelli che hanno capito subito e ci hanno scritto divertiti. Ci sono stati quelli che, stupiti che due istituzioni autorevoli come Aiap e ISIA avessero potuto promuovere una simile corbelleria, sono restati a osservare salvo mandare qualche messaggio di protesta in privato per evitare di sollevare polveroni in rete; ci sono stati infine quelli che invece lo hanno preso sul serio con due differenti reazioni: chi si è arrabbiato e chi si è informato per capire meglio le modalità di partecipazione.

Le conclusioni.
Tutto ciò fa trarre delle allarmanti conclusioni: se il concorso è apparso in qualche misura verosimile, significa che il livello medio delle modalità di promozione di un concorso o di partecipazione allo stesso, è divenuto pericolosamente simile a quello di un pesce d’aprile.

Qualche riflessione.
La battaglia è senza fine: la numerosità dei concorsi (oggi formula evidentemente diventata di moda perché implicitamente contiene un finto grado di democrazia); l’eccessivo grado di demenzialità nei contenuti; le metodologie di approccio e lancio prive di criteri di buon senso e lontane dalle direttive Ico_D (ex Icograda); il mancato rispetto sia dei progettisti che dell’utente finale e, soprattutto, la mancata consapevolezza del valore economico, strategico, culturale, e innovativo di un progetto sono tutti aspetti sui quali non è possibile demordere.

È senza dubbio utile istituire concorsi, per promuovere l’accesso alla committenza di nuove realtà e per rendere più trasparente e aperto il meccanismo di selezione dei fornitori e di affidamento di incarichi, soprattutto per quello che riguarda le Pubbliche Amministrazioni.
Concorsi, call for papers e gare possono essere strumenti di utilità in questo senso e, allo stesso tempo, concorsi e premi sono uno strumento legittimo di promozione da parte di chi li emana e da chi vi prende parte. L’ampia partecipazione si basa proprio su questo compromesso.

La deriva demenziale però ormai è incontenibile, soprattutto per i concorsi che hanno come oggetto delicati progetti di identità.

Sfugge infatti ai più, che il design della comunicazione è un processo metadisciplinare che per un ente pubblico (ma virtualmente anche per un ente privato) significa coinvolgere politica, economia, progettazione e la società nel suo insieme. Lungi dal voler fare un discorso corporativo, demandare ad un concorso tutta l’elaborazione visiva significa considerare gli aspetti della grafica come accessori, di fatto una fornitura slegata da discorsi strategici: un concorso non prevede un raffronto con i fruitori finali ed esclude categoricamente per sua natura un rapporto diretto tra progettisti ed enti emanatori.

Quello che vorremmo provare a sottolineare però, non è il punto di vista del progettista né la sua difesa a oltranza bensì il punto di vista del fruitore e il valore politico, di governo, culturale e strategico, cui una PPAA dovrebbe prestare maggiore attenzione.

Il ruolo politico: riteniamo che le PA stiano perdendo un’occasione politica, quella cioè di dotare le proprie istituzioni di progetti cui si possa far corrispondere all’apparato formale e testuale, una serie di contenuti, un posizionamento strategico, una visione futura.

Il ruolo di governo: riteniamo che una politica attenta dovrebbe sapere che la comunicazione non è solo limitarsi a declinare su tutta una serie di materiali di merchandising un segno ripetuto fino all’ossessione. Questo approccio ha reso fallimentari un numero elevatissimo di progetti. Una politica attenta, invece, sa che la costruzione di un buon progetto implica come risultato la possibilità di costruire anche i presupposti di governo della comunicazione e del ritorno necessario e dovuto, che un buon lavoro (politico e di servizio) deve generare.

Il ruolo culturale: L’esperienza ci indica che di tanti concorsi stilati male, alla numerosità delle proposte che pervengono, corrisponde spesso una mediocre risposta progettuale. Questo perché molti professionisti – quelli cioè che non disegnano loghi per diletto o nel tempo libero ma quelli che si occupano di comunicazione per mestiere, per scelta, per passione e per competenza, e quegli studi che, piccoli o grandi che siano, dedicano molte ore del proprio lavoro all’approfondimento e alla ricerca – il più delle volte non partecipano a concorsi stilati male.

Il ruolo culturale che, quindi, viene a mancare, è quello di decidere di “approfittare” del valore principale del design e cioè il suo essere strumento per costruire paesaggi produttivi, luogo di sperimentazione e ricerca legati all’innovazione, alla ricerca di nuovi linguaggi socialmente sostenibili, alla eco-compatibilità e alle nuove frontiere della comunicazione etica. Un progetto senza ricerca non è un progetto.

Il ruolo strategico: non vogliamo entrare nello specifico delle competenze dei designer, non ci sembra questo lo spazio più opportuno, ma vorremmo solo sottolineare che rivolgersi a professionisti esperti attraverso bandi di concorso costruiti in modo professionale e con competenza, non significa semplicemente dare il giusto valore a una categoria professionale bensì significa la possibilità di usufruire delle loro competenze di analisti, costruttori, registi e gestori. Cerniera tra esterno e interno dell’impresa, pubblica o privata che sia.

La mancanza di un progetto costruito attraverso queste metodologie, questi saperi e questa capacità registica mina la costruzione stessa dei valori identitari e dei valori di reputazione che un progetto di design deve avere. Soprattutto elude l’attore principale dei processi di comunicazione, ovvero le persone che fruiscono del progetto.

Un progetto che non deve fondare la sua esistenza su un falso sistema bottom-up, apparentemente partecipativo, spettacolarizzato dalla rete e in rete, con risultati non condivisi e non costruiti attraverso una visione, ma su un brief poco approfondito.

Su questa differenza risiede il valore e la competenza del designer, quello vero, che, come la vera politica, mette sempre e solo le Persone al centro del progetto.

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Il “finto” bando:

Concorso «Il miglior concorso 2013-2015»

Consapevoli dell’importanza dell’impegno di enti pubblici e privati, in particolare di quelli dotati di meno risorse economiche, nell’opera di valorizzazione della propria identità attraverso la grafica, posta l’importanza che i concorsi hanno assunto per la crescita sia del singolo ente committente promotore, sia dell’intero sistema della comunicazione, sia per la valorizzazione dei giovani, in accordo con le norme ico–D (ex Icograda), Aiap e Isia congiuntamente promuovono il concorso per eleggere il miglior concorso del triennio 2013-2015 e il concorso per la migliore idea di concorso.

L’intento del concorso è promuovere la virtuosità di questa modalità di committenza, fucina di idee progettuali e dibattiti fortemente stimolanti per la comunità creativa, sollecitandone il processo evolutivo.


Il concorso prevede 3 premiazioni per 3 categorie:

  1. Miglior concorso stilato nel triennio 2013-2015.
    Criteri di valutazione: originalità, entità del premio, precisione del bando, tenore degli elaborati presentati per il medesimo.
  2. Miglior elaborato ottenuto da un concorso del triennio 2013-2015.
    Criteri di valutazione: valore estetico e di contenuto dell’elaborato.
  3. Miglior concorso originale, stilato appositamente per questo concorso.
    Criteri di valutazione: originalità, entità del premio, precisione del bando, tenore degli elaborati presentati per il medesimo.

Ogni ente o privato interessato a partecipare deve presentare apposita domanda indirizzata ad AIAP e ISIA all’indirizzo:

via Ponchielli, 3
20129 Milano

specificando la sezione del concorso cui si intende partecipare entro il 30 Aprile.

Per le gare 1 e 2 occorrerà indicare il Nome del concorso o dell’elaborato, il nome dell’ente o dell’autore, l’anno di esecuzione, un collegamento web e inviare copia della documentazione ufficiale, copia del bonifico versato al vincitore e immagini di supporto.

Per la gara 3 l’ente proponente può dichiararsi committente, inventarne uno fittizio o proporne uno realmente esistente.

La giuria sarà composta da cinque giudici scelti di cui tre esperti che hanno elaborato e promosso almeno tre concorsi internazionali e da due designer vincitori di almeno tre concorsi.

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.