“Can City” e la fonderia ambulante

Oltre la semplice raccolta differenziata

A San Paolo in Brasile la raccolta differenziata dei rifiuti è iniziata circa cinquant’anni fa, quando da noi non esisteva ancora, grazie al lavoro dei catadores, uomini e donne che si guadagnavano, e si guadagnano tuttora, da (soprav)vivere raccogliendo lattine e altri materiali di scarto lungo le strade della città.
Solo a San Paolo i catadores sono più di 20.000. Il loro è un lavoro dignitoso che molti scelgono di fare per racimolare quel poco che serve per superare la giornata, senza dover rinunciare a vivere in maniera onesta. Un’occupazione con una grande utilità sociale, di cui i catadores stessi tendono a sottovalutarne l’importanza.

Due anni fa lo Studio Swine, formato dall’architetto giapponese Azusa Murakami e dall’artista inglese Alexander Groves, ha studiato un sistema per permettere ai catadores di acquisire nuove competenze e aumentare le prospettive lavorative.
I due progettisti hanno realizzato una piccola fonderia ambulante (la base è un barile di birra vuoto) che utilizza come carburante l’olio esausto recuperato dai ristoranti e dai caffè locali, nella quale le lattine e altri rifiuti di alluminio vengono fusi per essere trasformati in sgabelli e altri oggetti d’arredo. Per assemblare l’alluminio fuso e garantire una struttura solida ai mobili inoltre viene utilizzata la sabbia proveniente dai cantieri locali.

Ne è nata così Can City, una collezione di oggetti realizzata dallo Studio Swine insieme ai catadores, i quali grazie alle nuove abilità apprese sono in grado di utilizzare il processo per creare i propri personali prodotti in alluminio, andando oltre la semplice raccolta differenziata. Can City è stata realizzata in collaborazione con il Coletivo Amor de Madre Gallery di San Paolo e resa possibile grazie al supporto di Heineken. Il film è da Juriaan Booij.

can_city_designplayground_09
can_city_designplayground_02
can_city_designplayground_03
can_city_designplayground_04
can_city_designplayground_05
can_city_designplayground_06
can_city_designplayground_08
can_city_designplayground_10
can_city_designplayground_11
can_city_designplayground_12
can_city_designplayground_07
can_city_designplayground_14
can_city_designplayground_15
can_city_designplayground_16
can_city_designplayground_17
can_city_designplayground_18

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.