“f/5.6 Grammatica Fotografica”.

Una grammatica visiva per la lettura della composizione fotografica

Si chiama “f/5.6. Grammatica Fotografica”. Una grammatica visiva per la lettura della composizione fotografica il progetto frutto della Tesi di Laurea Triennale in Graphic Design di Fabio Servolo presso il Politecnico di Torino durante le sessioni dell’anno accademico 2012/2013. Il volume al centro del progetto è stato concepito esclusivamente a scopo didattico e di ricerca.

La seguente tesi di laurea vuole indagare circa la possibilità di applicare le regole del linguaggio e della percezione visiva all’interno della didattica per la fotografia. Fine ultimo è la realizzazione di un manuale destinato in primis al fotoamatore, ma senza necessariamente escludere chi utilizza il mezzo fotografico per scopi professionali.

“Con la nascita ufficiale della fotografia nel 1839, ad opera di Daguerre, si apre un ventaglio di possibilità comunicative ed espressive mai visto in precedenza. Fin da subito tale linguaggio visivo risulta essere, a differenza dei suoi predecessori, prima fra tutti la pittura, predisposto a raggiungere un pubblico molto vasto: si può affermare che la fotografia sia il più immediato e soddisfacente mezzo di comunicazione visiva del grande pubblico, sia per una questione di facilità di approccio, che di strumentazione tecnica necessaria. L’era degli strumenti analogici di metà ottocento viene presto stravolta dall’avvento del digitale, vera e propria rivoluzione che porta cambiamenti radicali sia al mezzo che all’approccio. Di fondamentale importanza è sottolineare come il fenomeno “amatoriale” sia nato quasi in concomitanza con l’invenzione della fotografia stessa.

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Ai fini di una migliore comprensione del progetto, occorre tenere a mente gli effetti che l’era digitale ha portato nella nostra quotidianità: sempre più strumenti ad alto contenuto tecnologico affollano le nostre abitazioni, i nostri comportamenti ed il nostro modo di vivere ed interpretare la realtà che ci circonda.
 La fotografia digitale, caratterizzata da una elevata facilità di acquisto, ha portato all’affermazione definitiva di questo mezzo di comunicazione, ormai definibile “di massa”, senza che però ci sia stato un parallelo processo di educazione teorica, tecnica e visiva.

La figura del fotoamatore, caratterizzata da un apprendimento di tipo autodidatta, si trova sovente in una condizione di insoddisfazione e disorientamento, determinata dall’incapacità di sfruttare a pieno le potenzialità del dispositivo acquistato e di coglierne a fondo il funzionamento da un punto di vista tecnico. 
La causa primaria di tale condizione, tuttavia, risiede nella carenza di quelle nozioni teoriche fondamentali che spesso si acquisiscono esclusivamente all’interno di corsi di formazione di base, non sempre capaci di raggiungere l’utente con informazioni chiare. Inoltre, non tutti i corsi di formazione mettono a disposizione le proprie lezioni, sia in formato cartaceo che digitale, così a volte tutto ciò che resta a disposizione degli allievi sono i loro appunti, la maggior parte delle volte incompleti e non esaurienti.

È necessario considerare che l’apprendimento risulta meno faticoso e le nozioni più semplici da memorizzare quando la didattica usa dei meccanismi facenti leva sul ragionamento e sull’intuibilità piuttosto che sulla semplice e unidirezionale esposizione di contenuti.

È da queste considerazioni, oltre che dall’analisi progettuale esposta in seguito, che nasce la necessità di realizzare un manuale di fotografia che sia quanto più possibile concentrato, intuitivo e vicino alle esigenze del fotoamatore, prima fra tutte quella di avere un “supporto” teorico, ma, allo stesso tempo, disporre di un riferimento costante nella pratica individuale e di acquisto della strumentazione.

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Risulta perciò di notevole importanza la definizione del termine “manuale”: esso viene inteso come un “libro che espone, in modo ampio ed esauriente, le nozioni fondamentali riguardanti un determinato argomento”. L’origine del termine risale all’Encheiridion o Manuale di Epitteto, compendio di massime e insegnamenti morali. ”Enchiridii forma” stava ad indicare una serie di volumi in piccolo formato contenenti classici greci, latini e italiani, iniziata felicemente con il Virgilio del 1501, ma il significato moderno e più corrente del termine si è diffuso nel XIX e XX secolo con il moltiplicarsi dei volumi monografici, propedeutici, che in piccola parte racchiudono la trattazione sistematica di una determinata disciplina.

Il manuale al centro di questo progetto si propone di essere un supporto da affiancare ai corsi base di fotografia, senza però volerli sostituire. Non un comune volume teorico ma piuttosto un reminder, un breviario, per avere sempre a disposizione i concetti chiave del mondo della fotografia”. Fabio Servolo

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“Le forme solo accennate sono più efficaci, garantiscono all’occhio la soddisfazione di scoprirle compiendo uno sforzo visivo”

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“Un’immagine, sia essa una composizione di tipo grafico o fotografico, presenta la naturale tendenza a suddividersi in zone differenti”

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“È stato osservato che la corteccia visiva risulta più attiva quando si immagina qualcosa rispetto a quando la si sta realmente percependo”

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Fabio Servolo, 1989, torinese di adozione.
“Ho incontrato la progettazione grafica per caso, nessuna vocazione, nessun talento innato. Dopo il liceo decido di tentare il test d’ingresso per Industrial Design, presso il Politecnico di Torino, test che (fortunatamente) non supero. Mi ritrovo poco dopo fra i “ripescati” e finisco sui banchi di Progetto Grafico e Virtuale. Scopro lentamente che è l’unica disciplina che riesca a tenermi sveglio la notte. Vivo la creatività con una matrice probabilmente molto Munariana, esercizio, analisi, logica, ma anche autoironia e leggerezza. Nel 2013, una volta laureato, la comunicazione visiva diventa a tutti gli effetti il mio mestiere. Lavoro tutt’ora per Arc’s, studio che si occupa di Packaging e ambiente creativo in continuo sviluppo”.

note legali
Il progetto è frutto della Tesi di Laurea Triennale in Graphic Design sostenuta da Fabio Servolo presso il Politecnico di Torino durante le sessioni dell’anno accademico 2012/2013. Il volume al centro del progetto è stato concepito esclusivamente a scopo didattico e di ricerca. È stata realizzata una sola ed unica copia stampata per fini dimostrativi in sede di discussione. L’autore non possiede alcun diritto sulle immagini fotografiche presenti all’interno del volume. Ogni materiale di natura fotografica presente nel progetto è per tanto proprietà dei rispettivi autori, citati all’interno del volume secondo le leggi vigenti in materia di copyright e diritto d’autore. Non vi è alcun scopo di lucro. È severamente vietata la divulgazione e la riproduzione in qualsiasi forma. Il concept progettuale e la realizzazione grafica sono proprietà esclusiva dell’autore e per tanto tutti i diritti sono riservati.

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.