Il pop tribale di Camille Walala

Nel maggio del 2018, Walala ha firmato uno dei suoi progetti più ambiziosi fino ad oggi, un murale alto quaranta metri a Brooklyn.

Le opere dell’artista francese Camille Walala trasmettono positività. I suoi lavori, dal piccolo al grande formato, grazie ai colori vibranti e alle geometrie esuberanti danno vita ad ambienti e situazioni che stimolano i sensi e ispirano gioia. Laureata in design tessile presso l’Università di Brighton, Camille si è trasferita a Londra nel 1997 e ha fondato il suo omonimo marchio nell’East London nel 2009 dove vive e lavora ancora oggi.

La sua pratica l’ha portata in tutto il mondo a trasformare spazi di ogni genere con il suo stile tribale-pop. Le influenze dell’artista sono evidenti: il Gruppo Memphis (tra i massimi esponenti della scena postmodernista degli anni ’80), la pittura murale della tribù degli Ndebele (larghi motivi geometrici e dai colori brillanti, con campi monocromatici incorniciati e una prospettiva unicamente bidimensionale) e il lavoro del maestro della optical art, Victor Vasarely.

Adoro portare il colore negli spazi prevalentemente grigi.

Nel maggio del 2018, in occasione del NYCxDesign, Walala ha firmato uno dei suoi progetti più ambiziosi fino ad oggi, un murale alto quaranta metri commissionato da wanteddesign, sulla facciata di un edificio di sette piani a Brooklyn nella zona di Industry city, un complesso post-industriale a uso misto di sei milioni di metri quadrati composto da 16 edifici che si estendono per 35 acri sul lungomare. La regista newyorkese Romain Thomassin l’ha seguita per tutto il progetto, documentando – per la prima volta – la sua ispirazione, i riferimenti, la metodologia e il suo sogno più grande: realizzare walalaland, una città in cui tutti gli edifici sono luminosi e colorati.

Tra i suoi clienti: Harrods, Sarenza, Armani, The Other Art Fair, Natuzzi, Better Bankside, Naked Heart Foundation, Topshop, Swatch, Nike, Ted Baker, Art Fund, Selfridges, Rivista ES, Marie Claire, Converse, Facebook, Nintendo, XOYO , Koppaberg, Bompas & Parr, Darkroom, Barbican Festival, Land of King, Urban Outfitters, Caterpillar, Sydney Koskela, Facebook, Splice TV, Converse, ARIA London.

Altri lavori di Camille Walala

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Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

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