La valigetta del narratore

Il gioco per i più piccoli illustrato da Camilla Falsini che diventa un viaggio negli immaginari delle culture del mondo.

La Valigetta del Narratore, uscita per Erickson nel novembre scorso, è un gioco per bambini e bambine che oltre a stimolare la fantasia, ci mostra la vivacità di un mondo in cui le differenze si fanno ricchezza e le sfumature sedimentandosi costruiscono un immaginario universale.
Nella Valigetta sono contenuti i disegni che Camilla Falsini ha realizzato ispirandosi agli ornamenti che nei secoli passati mani esperte, in giro per il mondo, hanno inciso o dipinto in piatti, vasi e porte. In questa valigetta, la storia e la cultura di tanti popoli rivive, si intreccia e viene reinventata attraverso l’immaginazione dei più piccoli.

Tematiche come quelle della migrazione e dell’integrazione sono oggi, più che mai, attuali e fonte di lacerazioni e contrasti. Trovare esempi virtuosi che riescono a seminare nella mente di bambini e bambine un linguaggio comune per un futuro condiviso in armonia, sono sicuramente modelli da premiare.

Abbiamo fatto qualche domanda proprio a Camilla Falsini (che avevamo già intervistato circa due anni fa in occasione di un altro suo progetto) per farci raccontare qualche dettaglio in più sulla progettazione di questo stimolante gioco.

Da chi e come nasce l’idea della Valigetta del Narratore?
L’idea e lo studio del gioco è di Alessandra Falconi, (responsabile del Centro Zaffiria, del Centro Alberto Manzi e del marchio di giochi di design Italiantoy) che ha deciso poi, in accordo con Erickson che l’avrebbe pubblicato, di chiedere a me di realizzare le molte immagini che sarebbero servite per realizzare le tessere. Lavorando sul folclore si correva il rischio di cadere nello stereotipo e nel banale e sono stata scelta perché il mio segno poteva reinterpretare le immagini “ancestrali” delle culture del mondo rendendole giocose e aperte alle nuove interpretazioni dei bambini. Antico e immaginifico potevano convivere e Alessandra mi ha voluto a tutti i costi. 

Cosa contiene e a cosa serve?
La valigetta contiene un tabellone, un quaderno che suggerisce molte attività di vario tipo e 85 tessere ispirate al folclore del mondo. L’idea forte alla base della Valigetta è quella di far nascere narrazioni partendo dalle immagini e dal modo in cui si sceglie di farle interagire.

Le immagini contenute nella valigetta sono ispirate a decori, grafiche, segni e simboli di popoli differenti. Come sei riuscita a costruire questo immaginario visivo comune?
Molto materiale mi è stato dato da Alessandra, che aveva già fatto un grosso lavoro di ricerca, alcune cose (ma non molte), le ho aggiunte io. Per me il grosso del lavoro è stato la rielaborazione, attraverso il mio segno, di segni altrui. A volte è stato più facile, altre volte più complesso. Volevo che uscisse una mia impronta, ma allo stesso tempo ho cercato (soprattutto nel rielaborare le decorazioni più che gli oggetti) di non cancellare lo stile originario. Ho lavorato su immagini in bianco e nero, quindi per quanto riguarda i colori, ho invece inventato completamente e infatti riflettono molto la mia palette.  

Attraverso questo strumento bambini e bambine potranno inventare nuove storie in qualche modo vicine alle culture di tutto il mondo. Un bel segnale in tempi come questi. Potrebbe essere proprio un linguaggio immaginifico condiviso quello da cui ripartire per creare una vera integrazione anche nelle scuole?
Certo! Per questo trovo questo progetto così affascinante e potente. Conoscere segni di altre culture (un tempo lontane ma oggi, grazie ai fenomeni migratori, più vicine) è un arricchimento incredibile per bambini e bambine, poter giocare con linguaggi che culturalmente non appartengono alla nostra cultura occidentale (in realtà ci sono anche elementi presi dai celti, più vicini forse a noi, e ai greci, ma c’è poi tutto il mondo arabo, asiatico, sudamericano, fino ad arrivare all’Oceania) è la base per l’apertura mentale e per il rispetto di ciò che non conosciamo.

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Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

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