The Mask Series: Saul Steinberg & Inge Morath

L'incontro tra una fotografa e un disegnatore che ha generato una delle più singolari collaborazioni artistiche della storia.

L’estetica di Saul Steinberg (1914-1999), che divenne uno degli artisti più amati d’America, iniziò a prendere forma a Milano nel 1933, dove arrivò per studiare architettura al Politecnico (che una volta descrisse come “una scuola confortevole […] sotto l’influenza del cubismo”), lasciando il suo paese d’origine, la Romania, e il suo violento antisemitismo. 

Nel 1936, ancora studente, iniziò a contribuire con le sue illustrazioni ai più conosciuti giornali umoristici e satirici italiani (tra tutti, Bertoldo, diretto da Cesare Zavattini, edito da Rizzoli fino al 1943) divenendo presto famoso per la sua intelligenza visiva. Questi primi anni in Italia, che in seguito avrebbe ricordato come un “paradiso”, si trasformarono rapidamente in “inferno” nel 1938, con l’istituzione delle leggi razziali da parte del regime fascista che lo privarono del reddito, di una professione e di una residenza legale. 

Costretto a vivere come un “ebreo straniero indesiderato” e incapace di ottenere i visti necessari per lasciare l’Italia, alla fine del 1940 era minacciato di arresto, ma riuscì ad evitarlo grazie all’aiuto degli amici milanesi; qualche mese più tardi trascorse invece diverse settimane nel campo di internamento di Tortoreto, in provincia di Teramo, prima di riuscire finalmente a fuggire dal paese. Questo periodo cruciale nella biografia di Steinberg (o autogeografia, come la definirebbe lui) è finora rimasto in gran parte sconosciuto a causa della sua riluttanza a parlarne negli anni a venire. 

Dopo essere stato respinto a Ellis Island e aver trascorso un anno a Santo Domingo, Steinberg riuscì a raggiungere New York nel 1942 dove trovò lavoro regolare come illustratore per The New Yorker. Nel 1946, fu invitato a partecipare alla mostra “Quattordici americani” (Fourteen Americans) al Museum of Modern Art. A metà degli anni ’50 Steinberg si era affermato saldamente nelle scene letterarie e artistiche di Manhattan, esponendo regolarmente in gallerie e musei di tutto il mondo e contribuendo spesso non solo al The New Yorker, ma anche a Vogue, Mademoiselle, Harper’s Bazaar, Fortune, TIME e LIFE.

“La vita di un uomo creativo è condotta, diretta e controllata dalla noia. Evitare la noia è uno dei nostri scopi più importanti”.
Saul Steinberg

La lunga e variegata carriera di Steinberg contempla opere su molti media ed è apparsa in contesti molto diversi tra loro. Come detto, oltre alle pubblicazioni per riviste e mostre in gallerie d’arte, ha prodotto arte pubblicitaria, fotografie, tessuti, scenografie e murales. Steinberg ha creato un linguaggio ricco e in continua evoluzione che ha trovato piena espressione attraverso queste carriere parallele ma integrate, per questo il suo lavoro è difficile da posizionare all’interno dei canoni della storia dell’arte del dopoguerra e resiste alle categorie critiche convenzionali. Lui stesso ha avuto modo di affermare: “non appartengo al mondo dell’arte, dell’illustrazione o delle riviste, quindi il mondo dell’arte non sa bene dove posizionarmi”.

Steinberg può essere definito un “modernista senza portfolio, che attraversa costantemente i confini di un territorio visivo inesplorato. Nell’argomento e negli stili, non ha fatto alcuna distinzione tra arte alta e bassa, che ha liberamente confuso in un’opera stilisticamente diversa ma coerente in profondità e immaginazione visiva”.

Untitled, 1948. Ink on paper, 14 ¼ x 11 ¼ in. Saul Steinberg Papers,
Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University

Inge Morath nacque a Graz, in Austria, nel 1923. Dopo aver studiato lingue a Berlino (sarà fluente in francese, inglese, rumeno, spagnolo, russo e cinese, così come nel suo tedesco), divenne traduttrice, poi giornalista e redattrice austriaca per Heute, una pubblicazione edita nel 1947 e nel 1948 dall’Information Services Branch dell’Esercito degli Stati Uniti nella Germania occupata, che aveva il compito di presentare alla popolazione tedesca una fonte affidabile di informazioni e immagini relative agli eventi di attualità in Europa e nel mondo. Per tutta la vita Morath sarebbe rimasta una prolifica diarista e scrittrice di lettere, mantenendo un duplice dono di parole e immagini che la rendevano insolita tra i suoi colleghi.

Amica del fotografo austriaco Ernst Haas, Inge Morath scrisse articoli per accompagnare le sue fotografie e fu invitata da Haas e Robert Capa a Parigi, “capitale della fotografia” del ‘900, per unirsi alla nuova agenzia Magnum come editor. Iniziò a fotografare a Londra nel 1951 e assistette Henri Cartier-Bresson come ricercatrice nel 1953-54. Nel 1955, dopo aver lavorato per due anni come fotografa, divenne membro Magnum, tra le prime fotogiornaliste donne dell’agenzia che rimane ancora oggi un’organizzazione prevalentemente maschile.

Inge Morath, autoritratto a Gerusalemme, 1958. Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.

L’intera vita di Inge Morath è segnata dal viaggio. “Noi eravamo assetati del vasto mondo”, così scriveva nei suoi diari e celebri saranno infatti i suoi reportage in Europa, Nord Africa e Medio Oriente. Il suo particolare interesse per le arti trovò espressione nei saggi fotografici pubblicati da numerose riviste di spicco. Dopo il matrimonio con il drammaturgo Arthur Miller nel 1962 (che conobbe grazie a Cartier-Bresson sul set de Gli Spostati nel 1961), Morath si stabilì a New York e nel Connecticut. Visitò per la prima volta l’URSS nel 1965 e fece il primo di molti viaggi in Cina nel 1978.

Morath era a suo agio ovunque. Alcuni dei suoi lavori più importanti consistono in ritratti, fossero semplici passanti o celebrità. Era anche abile nel fotografare luoghi: le sue foto della casa di Boris Pasternak, della biblioteca di Pushkin, della casa di Cechov, della camera da letto di Mao Zedong, degli studi degli artisti e dei memoriali del cimitero sono permeate dallo spirito delle persone invisibili ancora presenti. Inge Morath è morta a New York City il 30 gennaio 2002. La fotografia, diceva, «è un fenomeno strano. Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima».

‘Inge Morath possiede l’inestimabile qualità di far sembrare il mondo come se fosse stato scoperto solo questa mattina ed era presente con la sua lente per registrare la sua brillante freschezza ”
Harrison E. Salisbury in The New York Times Book Review

I risultati del lavoro di Morath durante il suo primo decennio nel mondo della fotografia sono molto significativi. Molti critici hanno scritto del giocoso surrealismo che caratterizza il portfolio di questo periodo. Morath lo attribuì alle lunghe conversazioni che ebbe con Cartier-Bresson durante i loro viaggi in Europa e negli Stati Uniti. 

Come molti dei suoi primi colleghi Magnum, tuttavia, il percorso di Inge fu motivato da un umanesimo modellato tanto dall’esperienza della guerra che dalla sua ombra persistente sull’Europa del dopoguerra. Questa motivazione è ancor più evidente nel lavoro più maturo di Morath intenta a documentare la resistenza dello spirito umano in situazioni di estrema coercizione, così come nelle sue manifestazioni di estasi e gioia.

Un lama a Times Square, New York, 1957. Foto di Inge Morath (Magnum Photos)

The Mask Series

Tra il 1959 e il 1963, Steinberg produsse maschere con sacchetti di carta sui cui disegnò una serie di facce stilizzate che divennero famose attraverso le fotografie scattate da Inge Morath che ritraevano lo stesso Steinberg e i suoi amici con le maschere a nascondere il viso.

L’idea del travestimento è fondamentale per l’arte di Steinberg. Nel mondo come l’ha visto, tutti indossano una maschera, reale o metaforica. Le persone inventano personaggi attraverso il trucco, l’espressione del viso, le acconciature e queste “facciate” diventano ciò che sono. “La maschera”, scrisse Steinberg, “è una protezione contro la rivelazione”.

“È così che me lo ricordo …”, ha ricordato la fotografa Inge Morath nel 2000. “Nel 1959 finalmente arrivai a New York, [Gjon] Mili telefonò a Saul Steinberg … e Saul accettò di incontrarmi e magari posare per un ritratto. L’appuntamento fu fissato. Upper East Side, all’altezza della settantacinquesima fra Park e Lexington. Suonai il campanello e Saul Steinberg aprì la porta con in testa un sacchetto di carta sul quale aveva disegnato un autoritratto”.

Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1959.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY

Inizia così una delle collaborazioni artistiche più curiose e affascinanti della storia tra una fotografa e un disegnatore. Il risultato è una originale raccolta di immagini spesso denominata “The Mask Series”, realizzata tra il loro incontro iniziale e il 1962, che ritrae una serie di figure che indossano diverse maschere disegnate su sacchetti di carta create da Steinberg, fotografate in modo piuttosto semplice e senza pretese da Morath.

Esteticamente e concettualmente, la “serie di maschere” è derivata dalle vite eccezionali dei suoi creatori ed è il risultato di una collisione tra due europei approdati nel cuore di Manhattan, durante i più vivaci anni del boom americano. In quanto tale, offre una prospettiva singolarmente sofisticata e delicatamente ironica su questo luogo particolare in un momento particolarmente significativo.

USA. Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1959.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY

A prima vista, queste immagini non assomigliano del tutto a quelle dell’opera fotogiornalistica più tradizionale di Morath, caratterizzata dal “momento decisivo”, basata sulla spontaneità arguta e sull’osservazione penetrante. Tendono invece a suggerire una combinazione più sperimentalmente ispirata al modernismo dei primi del ventesimo secolo (ovvero Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso – 1907), i ritratti semi-casuali di Henri Cartier-Bresson di artisti, scrittori e filosofi (cioè Henri Matisse, Albert Camus, Igor Stravinsky, Jean Paul Sartre – anni ’40), e le alte vette dell’intellighenzia della metà del secolo di New York (Truman Capote – 1958).

Eppure, dati i viaggi dei due artisti coinvolti, una tale intrigante confluenza di punti di riferimento culturali d’avanguardia dei precedenti cinquant’anni e da entrambe le sponde dell’Atlantico, non è stata affatto una strana coincidenza.

Le prime foto della serie vedono Steinberg protagonista nel suo appartamento, indossare maschere che riflettono le variazioni del suo alter ego; un uomo di mezza età dalla faccia lunga, straordinariamente coerente, con gli occhiali, chiaramente disegnato con ampi baffi e un’espressione perennemente impassibile (reso nel modo più semplice possibile; una singola linea diritta, perfettamente orizzontale per raffigurare la bocca).

Gradualmente le maschere di Steinberg, nel corso degli anni, si sviluppano ed evolvono da semplici autoritratti a una varietà di creature eleganti ed elaborate dagli strani occhi che spesso sfoggiano sorrisi maniacali e inquietanti, o in alternativa in un miscuglio di sculture dalle sopracciglia pesanti e fortemente ombreggiate, in personaggi che sembrano trasudare un mondo interiore ricco e piuttosto stanco del mondo. Parallelamente a questa evoluzione anche le fotografie di Morath diventano più dinamiche.

A poco a poco la Morath inizia a reclutare “amici, un paio di giovani donne nel mio ufficio e diversi poeti ribelli” e gli chiede di posare per lei mentre indossano le maschere di Steinberg; trova nuovi luoghi dove scattare le immagini, tra cui un’elegante casa a schiera a Gramercy Park, camere al Chelsea Hotel, spiagge e case al mare di Long Island e altro ancora.

Al primo sguardo, queste immagini appaiono giocosamente performative, gioiose e intrise di umorismo e immaginazione infantili. Tuttavia, guardando la serie più da vicino e nel suo insieme, le fotografie iniziano gradualmente a fungere da metafore criptiche per la lugubre allegria e l’innocenza forzata dell’America del dopoguerra degli anni ’50, vista attraverso gli occhi di due europei stanchi del mondo e più che diffidenti verso una cultura che mascherava i suoi tumulti sottostanti in sorrisi sciropposi e auto-soddisfatti, e seppelliva le sue insicurezze sotto manifestazioni superficiali di prosperità e grandezza.

USA. 1959. Untitled. (from the Mask Series with Saul STEINBERG).
USA. NY. New York city. The Romanian-born American painter Hedda STERNE with pussycat mask.
Saul STEINBERG mask series. 1959. Photograph by Inge Morath © The Inge Morath Estate/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
USA. Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1961.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS. Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1961.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
USA. Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1961.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
USA. Family at dinner. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1961.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
Small Family Group, Chelsea Hotel (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1962.
Photograph by Inge Morath, © The Inge Morath Foundation
Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), USA. 1962.
Photograph by Inge Morath © The Inge Morath Estate/Magnum Photos.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY © Inge Morath | Magnum Photos
USA. Untitled. From the Mask Series with Saul Steinberg. 1961.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
USA. Untitled. (from the Mals Series with Saul Steinberg), 1961.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
Inge Morath Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), USA. 1962.
Photograph by Inge Morath © The Inge Morath Estate/Magnum Photos.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY © Inge Morath | Magnum Photos
Group Portrait with Masks (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1962.
Photograph by Inge Morath, © The Inge Morath Foundation
Inge Morath – Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1962.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
Untilted (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1962.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
USA. New York City, Chelsea Hotel (from the MAsk Series with Saul Steinberg), 1962.
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY
Untitled (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1962.
Photograph by Inge Morath © The Inge Morath Foundation.

“L’evoluzione delle maschere di Steinberg, così come la varietà di momenti, luoghi e pose coreografiche accuratamente scelte da Morath, trasformano i loro soggetti in caricature del loro tempo: donne dell’alta società in pellicce e abitini neri, uomini d’affari soddisfatti, segretarie, bellezze al bagno e bohemien.

Allo stesso tempo, nascondendo l’identità dei loro soggetti dietro queste facciate stravaganti, entrambi rivelano ed esagerano la natura malata e sinistra del sogno americano degli anni ’50.

Ambientate nel caratteristico comfort cosmopolita della raffinatezza newyorkese, queste figure irriverenti distorcono e sovvertono il compiacimento dell’epoca, in un certo senso anticipando il taglio della fotografia di strada che definirà la stessa città durante il decennio successivo. Basti pensare alle “maschere” rivelate in Le due donne di Automat di Diane Arbus, La donna con un velo, La bambina con la bomba a mano giocattolo a Central Park e così via, o quelle indossate dalle figure che marciavano su e giù per la Fifth Avenue nell’opera di Garry Winogrand”. (Aaron Schuman)

“È l’ultimo paradosso di un moralista, la maschera non come fuga ma come emblema di ipocrisia e forse strumento di salvezza. Nella società della solitudine a chi serve nascondersi? Forse agli unici testimoni della nostra ambiguità cioè a noi stessi”. Dall’intervista rilasciata a Sergio Zavoli, New York, 1967)

 Untitled. (from the Mask Series with Saul Steinberg), 1959. 
Photograph by Inge Morath/MAGNUM PHOTOS.
Mask by Saul Steinberg © The Saul Steinberg Foundation/ARS, NY

La serie è stata raccolta per la prima volta nel libro Inge Morath, Saul Steinberg: Masquerade (New York: Viking Studio, 2000,
ISBN-13: 9780670894253)

Fonti
Magnum Photos
Saul Steinberg Foundation

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