Intervista a Lucinda Schreiber.
L’arte dell’animazione per videoclip musicali

Lucinda Schreiber è una regista, animatrice e illustratrice, originaria di Sydney, Australia, e attualmente vive a New York. Dopo aver studiato Belle Arti alla RMIT si è laureata presso la UTS con la specializzazione in animazione nella quale, fino a poco tempo fa, è stata impegnata come docente di motion graphics e animazione. Il suo film di laurea, The Goat That Ate Time, è stato proiettato ampiamente e ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali.
Da allora Lucinda ha diretto e animato numerosi video musicali e TVCs per clienti come Gotye, Saks 5th Avenue, Coca-Cola, Telstra, Midnight Juggernauts e Kotex. Lucinda è rappresentata da Photoplay Films in Australia, in Asia e negli Stati Uniti. L’abbiamo intervistata per farci raccontare la sua storia e il suo ultimo lavoro, il videoclip musicale per la canzone della band australiana Husky, “Saint Joan”.

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Immagine del film di laurea The goat that ate time

Prima di tutto sei un’illustratrice. Come racconti il mondo attraverso il tuo lavoro?
Come ogni illustratore o illustratrice, cerco sempre di raccontare una storia, anche se in modo semplice. Mi piacciono le storie che nascondono un qualche tipo di significato, anche se indiretto o non immediatamente evidente, attorno alle quali costruisco immagini con livelli di narrazione differenti.

Quali sono i temi ricorrenti nelle tue animazioni?
Le tematiche sono in genere legate al progetto su cui sto lavorando, ma spesso ritornano i temi della mitologia, delle ombre, dei sogni, della ciclicità, dell’evoluzione, del surrealismo e di mondi nascosti. Argomenti che a primo ascolto sembrano pesanti ma il mio approccio ad essi è generalmente caratterizzato da un certo grado di umorismo e di sorpresa, ottenendo così un risultato frutto dell’interazione tra buio e luce.

Da quali cose o quali personaggi ti lasci ispirare?
Mi ispirano molte cose, spesso in modo imprevisto. In generale cerco ispirazione da film, arte, libri, persone, conversazioni, musica, podcast e, naturalmente, Internet. In questo momento le fonti di ispirazione che mi saltano in mente sono Zbigniew Rybczyński, Norman Mclaren, Sally Cruickshank, Michelangelo Antonioni, Geoff McFetridge, René Laloux, Miranda July e Yokoo Tadanori.

Come realizzi le tue animazioni? Quali attrezzature tecniche utilizzi?
Dipende dal progetto a cui mi sto dedicando. In generale lavoro molto con l’animazione stop-motion, in particolare con la manipolazione della carta, inchiostro, gesso, oggetti e occasionalmente persone. La mia attrezzatura tecnica per una ripresa in stop-motion di solito comprende una fotocamera reflex digitale e il software Dragonframe per catturare ogni immagine.
Faccio anche numerose animazioni digitali in 2D che in genere creo in Adobe Photoshop, Flash e After Effects. C’è però un aspetto importante di manualità nel mio lavoro, infatti solitamente creo animazioni fotogramma per fotogramma utilizzando tavoletta e penna grafica, inserendo spesso anche disegni scannerizzati e texture.

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Immagine del videoclip di Telstra It’s How We Connect

C’è un filo conduttore che lega tra loro i tuoi lavori?
Penso che tutti i miei lavori rimandino in un modo o nell’altro all’idea che il mondo in cui viviamo è ciclico e che tutto ha un lato oscuro ed ogni oscurità ha una luce.

Qual è il processo di realizzazione di un filmato d’animazione?
Nella fase iniziale cerco di ampliare i miei orizzonti, pensando a quello che è il cuore, il nocciolo del brano o della sceneggiatura. A questo punto esamino, faccio degli schizzi e assorbo riferimenti dal maggior numero possibile di fonti. Questo alimenta alcune idee forti che posso iniziare ad approfondire e sviluppare attraverso style frames, storyboards e infine animatics. L’animatic (o story reel) viene poi affinato e perfezionato nel corso di molte ore di podcast e di diverse centinaia di tazze di caffè, fino a che arriva la data di scadenza e io devo consegnare il mio lavoro al cliente e al mondo con la speranza che alle persone piaccia!

Il tuo ultimo lavoro è il videoclip per la canzone della band australiana Husky, “Saint Joan”. Puoi dirci come è nata l’idea?
In generale, ho da subito pensato ad un video ciclico, che iniziasse e finisse allo stesso modo, e le parole iniziali del testo “I was looking up into the endless” mi hanno fatto immaginare che tutta l’animazione si dovesse dispiegare nel cielo come le costellazioni. La canzone sembrava avere un senso di nostalgia così ho cercato di usare l’animazione per far trapelare la musica e catturare l’umore generale dei testi senza essere troppo letterale. Mi piace che il linguaggio espressivo si collochi un po’ sotto la superficie, in modo tale che la carica emotiva della canzone sia racchiusa nel video ma che al tempo stesso non sia così facile puntare il dito su di essa.
Idee più specifiche sono poi uscite fuori dagli incontri e dagli scambi con la band. I membri della band mi hanno dato un intero elenco di parole e pensieri che associavano alla canzone e sulla base di questi ho abbozzato alcuni concetti che sono diventati infine i singoli loop del video.

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Immagine del videoclip di Husky St Joan


Premi selezionati:

Shortlisted, YouTube Play Guggenheim, USA 2010
Best Animated Music Video, Sound Kilda, Australia 2009
Audience Award, Sound Kilda, Australia 2009
Audience Award, MUSEEK Festival, Russia 2009
Best Short Animation, Inside Film Awards, Australia 2007
Best Film/Video by an Emerging Director, Chicago Int. Children’s Festival, USA 2007
Best Short Animation, Bangkok Children’s Film Festival, Thailand 2007
Audience Award for Best Film, UTS Golden Eye Awards, Australia 2007
Nominated, Best Short Animation, AFI Awards, Australia 2007

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.