Intervista a Pichi&Avo,
Memorie Urbane

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© Arianna Barone

Torniamo ad aggiornarvi sul fermento che ha ormai invaso le terre di Memorie Urbane, proprio in questi giorni, dopo la stupenda installazione di Fra.biancoshock a Gaeta, stanno lavorando David Walker a Terracina e MTO a Gaeta.
Vi avevamo lasciato all’open del duo Pichi&Avo Urban Iconomythology”, presso la Basement Project Room di Fondi, e ora vogliamo mostrarvi la gallery della loro opera muraria nella stessa città, accompagnata da una simpatica intervista ai due artisti valenciani.

Come è nata la vostra passione per l’arte e quando avete deciso di dipingere per strada?
Pichi:
È forse il modo più semplice per potersi esprimere, dato che in strada chiunque può guardare ed incontrare diversi linguaggi dell’arte. In più in strada non è necessario pagare per fruire delle opere d’arte.
Avo: La passione inizia da bambino, vedi che ti piace dipingere ed inizi ad imparare cose attraverso l’esercizio e crescendo inizi a dipingere, e la tua mente comincia a cercare un linguaggio che ti identifica. Scopri i graffiti in città e un giorno decidi di comprare le bombolette e cominci così a provare, come una droga: cominci e non puoi più farne a meno.

Quanto influenza il vostro lavoro la città in cui vivete e quanto siete soddisfatti del suo movimento culturale?
Noi veniamo da Valencia. Essa offre arte, architettura, cultura e un gran numero di artisti: in questi giorni, per esempio, ci sono le Fallas, una festa popolare, dove i mastri falegnami lavorano tutto l’anno per costruire grandi sculture barocche variopinte, fino anche a 15 metri d’altezza, per poi bruciarle il 19 marzo in onore di San Giuseppe.
E da bambino, quando guardi questo tipo di cose, sei inevitabilmente circondato dall’arte e di conseguenza, penso, che Valencia abbia una grande influenza sugli artisti della nostra città. Sicuramente le Fallas hanno influenzato il nostro modo di dipingere per lo stile barocco, la gran quantità di colore, e le sculture imponenti come monumenti.

Con quali aspettative siete arrivati e quali impressione vi ha fatto l’Italia?
È la prima volta che veniamo a dipingere in Italia e siamo venuti senza troppe aspettative (ridono). Siamo qui a Fondi per divertirci, fare del nostro meglio per le persone che vivono qui e provare a fare su questo grande muro un buon lavoro!

Quale messaggio volete trasmettere con il vostro lavoro?
Pichi: La nostra arte è un mix tra le origini dei graffiti e della grafica, tra le origini dell’arte e le sue evoluzioni odierne.
Avo: Quando inizi a disegnare e frequenti un istituto d’arte, la prima cosa che dipingi sono le statue classiche. Ogni artista però, in un punto non definito della sua vita, perde e dimentica tutto questo, dedicandosi all’astrattismo o ad altro, lontano da questi riferimenti. È anche bello. Noi abbiamo perso il nostro background e abbiamo deciso di ricominciare da capo, dalle origini. Tornare indietro per fondere tutto quello abbiamo imparato.

C’è qualche artista che stimi o che ti piaccia particolarmente?
Avo: Pichi! (ride) …Per me è molto difficile perché io adoro tutti gli artisti, dall’astratto, al cubismo, al realismo, ai graffiti, al contemporaneo, al classicismo: ogni artista ha qualcosa che può insegnarti!

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© Arianna Barone

Sulla confusione che spesso viene fatta tra street art, graffiti e arte pubblica, qual è il vostro punto di vista?
Dal nostro punto di vista sono la stessa cosa, è solo un bisogno di qualcuno separare questi concetti.
La street art è il lato buono dei graffiti, ritenuti illegali e visti negativamente, ma senza graffiti non sarebbe mai esistita la street art e senza la street art nessuna arte pubblica.
Non ci piace tanto la parola street art perché significa che dipingi in strada, ma puoi benissimo dipingere in un palazzo o su un’altra struttura che non sia una strada ed è per questo che la street art è arte pubblica e di conseguenza anche i graffiti sono arte pubblica. Sono la stessa cosa!

Legale o illegale…moda o cambiamento?
Qualche volta in modo legale e qualche volta no! (ridono)
Nell’illegalità è comunque importante non danneggiare nessuno, si possono ad esempio utilizzare vecchi edifici abbandonati. A Valencia abbiamo dipinto su edifici privati ma nessuno ha detto nulla. È questione della propria etica morale, noi cerchiamo di lavorare il più possibile in maniera legale in quanto abbiamo bisogno di molto tempo per dipingere. La street art è qualcosa di nuovo di cui poter parlare, ma per noi che ci siamo dentro non stupisce vedere i graffiti nei musei e nelle gallerie, succedeva già dieci i quindici anni fa. Per chi ne sa poco è sicuramente qualcosa di nuovo.

Come si configura il rapporto dell’artista con la parte umana del territorio, quella che vive i suoi spazi e costruisce il suo immaginario e i propri simboli?
Penso che in Italia esista una tradizione molto cattolica delle sculture e quando dipingiamo pensiamo sempre che debba esserci una relazione tra la nostra arte e la città in cui operiamo. È possibile che un territorio non si adatti alla nostra arte, ma è dovere dell’artista adeguarsi al territorio che lo circonda e far sì che la propria arte possa adattarsi ad un determinato muro.

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© Arianna Barone
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© Arianna Barone

Il futuro dell’arte urbana?
Fra dieci anni te lo diremo! (ridono) Noi pensiamo che il futuro sarà la galleria.

Preservare o lasciare che l’effimero abbia la meglio?
Sia i graffiti che la street art sono nati per essere effimeri, se così non fosse si perderebbe l’essenza che li contraddistingue. Capiamo che c’è la volontà di preservare e conservare, ma pensiamo che la tecnica non lo permette. Per esempio, nell’arte muralistica ci sono diverse tecniche molto complesse (tempere, pigmenti, affresco, encausto), per far sì che l’opera duri nel tempo. Questo è interessante perché il futuro della street art, forse, sarà quello di trovare il modo di preservare le opere e i concetti espressi.

Cosa pensate della street art nelle gallerie?
Perché no? (“Sembrerebbe una risposta di Frank Picazo!”, suggerisce Alessandro Di Gregorio-Basement Project Room). Pensiamo che sia una evoluzione naturale dell’artista: il problema, forse nel nostro caso, è che non siamo propriamente street artist, in quanto lavoriamo molto anche in studio. L’idea di esporre i propri lavori in galleria è una decisione che prende l’artista come step successivo al lavoro fatto in strada: una normale evoluzione del proprio lavoro.

Ci sono domande che vi ponete sul vostro lavoro?
Pichi: Quale sarà il futuro e l’evoluzione dell’arte?
Avo: Non ci facciamo domande, noi lavoriamo! Se proprio dovessimo farci una domanda sarebbe: Cosa succederà in futuro? Perché questo? O forse, fra due anni cambieremo? Non saprei.

Cosa significa lavorare in coppia? Dal punto di vista pratico, lavorate in simbiosi creativa o vi dividete i compiti sulla base delle differenti attitudini?
Avo: È così romantico! (ridono) Per noi lavorare in coppia significa lavorare come un team: siamo partiti in due – Pichi & Avo – e adesso si è aggiunto il curatore Frank Picazo, creando un vero e proprio team. Questo è stato necessario non solo per noi o per le persone con cui interagiamo, ma perché in questo modo si può crescere lavorando con diversi concetti. Avere opinioni diverse e menti diverse non può che far bene in un’ottica di evoluzione dell’arte. Se dipingiamo non abbiamo alcun compito preciso, ma ogni gesto è frutto di un attento confronto. Per quanto riguarda l’aspetto espositivo, lì i compiti sono ben più precisi e preferiamo far emergere le proprie attitudini: io (Avo) sono industrial designer, Pichi viene dall’Accademia delle Belle Arti, Frank Picazo è storico dell’arte, curatore e museologo, ma a lavoro finito non badiamo al segno del singolo.

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Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

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