Intervista allo street artist
Hendrik “Ecb” Beikirch

Hendrik Beikirch. Portrait of Oulad-Bouzid-III at the studio in Jardin Rouge:Marrakesh. (photo © Nils Müller)
Hendrik Beikirch mentre realizza il ritratto di Oulad-Bouzid-III presso lo studio della fondazione Jardin Rouge a Marrakesh – Photo © Nils Müller

Come anticipato ecco finalmente la nostra intervista al tedesco Ecb Hendrik Beikirch che ha realizzato da poco il suo primo muro italiano ad Arce per Memorie Urbane, un ritratto su grossa scala, che rientra nel suo recente percorso di ricerca TRADES – TRACING MOROCCO.

Hendrik “Ecb” Beikirch comincia a fare graffiti in strada fin da adolescente e poi prosegue con studi sulla didattica dell’arte. Intenso ritrattista, colpisce per la forza dei suoi personaggi, ricchi di storie da raccontare e silenziosi custodi dell’interiorità dell’artista, realizzata in scala monumentale. Lavoratori, pensatori, un’umanità vissuta e disillusa che si integra alla perfezione con i brani di città che questi sguardi sorvegliano. Lontano dai clamori della cultura visual, Ecb sorprende per la sua capacità di portare a riflettere sulla condizione umana dell’esistenza, con una tecnica semplice ma di grande effetto.

Prima di lasciarvi all’intervista e alla gallery dei suoi lavori, vi diamo qualche informazione sul suo ultimo progetto.

“TRADES – TRACING MOROCCO”
Promosso da Foundation Montresso/Jardin Rouge, Marrakech

A volte è il progetto che in qualche modo trova te piuttosto di essere tu a trovare esso.
Quando venni in Marocco la prima volta avevo pianificato solamente una visita di due notti. Sono stato affascinato immediatamente dalla diversità di questo paese, dalla sua ricca storia e dai contrasti nelle facce della gente creati dal “territorio”(environment, puoi trovare un termine migliore forse). È a sole 4 ore d’aereo da casa mia in Germania, ma è un paese molto differente da quelli che uno può trovare in Europa.
Il Marocco sembra offrire tutto, dal mare alle montagne coperte di neve, dagli alberi di palma fino ai deserti. Quando ho iniziato a visitare i luoghi al di fuori delle grandi città, ho avuto la possibilità di scoprire un Marocco più tradizionale. Una nazione fatta da gente che lavora duramente vivendo una vita altrettanto dura, ma con così tanto orgoglio e felicità.
Sto cercando di catturare la loro “aurea” in questa serie di lavori, con l’obiettivo di renderli immortali nel processo. Trasformando la gente dall’anonimo all’iconico e facendo un tributo a quei mestieri che potrebbero sparire in un prossimo futuro. Al momento sto lavorando alla creazione di un’esposizione ad ottobre con la fondazione e alla pubblicazione di un libro focalizzato sul progetto “Trades” con la casa editrice Éditions Eyrolles. “

Hendrik Beikirch at work at the studio in Jardin Rouge:Marrakesh. (photo © Nils Müller)
Hendrik Beikirch a lavoro presso lo studio della fondazione Jardin Rouge a Marrakesh – Photo © Nils Müller
Hendrik Beikirch. Portrait of Ahmed-Kartawa a shepherd. (photo © Hendrik Beikirch)
Hendrik Beikirch, ritratto di Ahmed-Kartawa – Photo © Hendrik Beikirch

Come è nata in te la passione per l’arte e come hai deciso di dipingere per strada?
Ho iniziato a disegnare sin dalla prima infanzia. Alla fine degli anni ‘80 scoperto lo spray come strumento per dipingere. Ancora ricordo la prima volta in cui ho fatto il mio primo pezzo, di notte insieme ad un amico, e la gioia di vederlo il giorno dopo. Nonostante questo sia molto diverso da ciò che faccio al giorno d’oggi, sono ancora molto affascinato dal lavorare negli spazi pubblici. Penso che questo sia uno degli aspetti che rende speciale i miei lavori: le differenti influenze, tecniche e approcci del lavorare nelle strade così come del lavorare nelle gallerie e nei musei.

Quanto la tua città ha influenzato il tuo lavoro e quanto sei soddisfatto del suo movimento culturale?
Ho viaggiato molto quando ero giovane, quindi non ho mai avuto una città che chiamerei casa. Oggi abito nei pressi di una città solamente perché è li che vive la famiglia della mia compagna. Abbiamo in ogni caso in progetto di trasferirci a NYC.

Con quali aspettative sei arrivato e quale impressione ti ha fatto l’Italia?
Mi è piaciuta subito l’idea di lavorare in una piccola città. Normalmente tutti i miei lavori avvengono in grandi città e metropoli, quindi per me questa è una bella variazione dalla solita routine. Credo che lavorare in una piccola città sia differente, meno anonimo, l’opera avrà un’attenzione diversa perché forse è più speciale (ha un diverso valore). Essendo l’Italia una delle classiche destinazioni dei turisti tedeschi, la mia infanzia non è stata un’eccezione. Sono stato in Italia più volte sia da bambino sia da adolescente. Cosa posso dire, amo il cibo, la gente, il caffè…

Quali messaggi vuoi trasmettere con i tuoi lavori?
Il ritratto dipinto ad Arce fa parte di una serie di lavori a cui mi sto dedicando in questo momento, dal nome “Trades-Tracing Morocco”. Esso tratta dei popoli e dei loro antichi mestieri che sono a rischio di estinzione. L’opera riguarda anche i volti che raccontano una storia e talvolta toccano lo spettatore nella sua interiorità. Nei miei lavori cerco sempre di catturare “l’aura” delle persone, rendendoli immortali nel processo, trasformandole dall’anonimato all’essere un’icona. Questo è il mio scopo.

ECB_Hendrik_Beikirch_Arce_2015_Dante_Corsetti_foto_01
ECB Hendrik Beikirch, Arce © Dante Corsetti
ECB_Hendrik_Beikirch_Arce_2015_Dante_Corsetti_foto_05
ECB Hendrik Beikirch, Arce © Dante Corsetti

C’è qualche artista che stimi o che ti piace particolarmente?
Gerhard Richter per la diversità dei suoi lavori.

Sulla confusione che spesso viene fatta tra street art, graffiti e arte pubblica, qual è il tuo punto di vista?
Guardando indietro nella storia dell’arte il termine per definire una forma d’arte veniva sempre quando quel periodo era ormai finito. Quindi è naturale che ci siano difficoltà nel trovare la giusta descrizione per un fenomeno che si sta ancora evolvendo e crescendo. La mia visione potrebbe essere che fintanto è autentico e onesto allora è buono. Preferisco il termine “urban contemporary art”.

Legale o illegale …. moda o cambiamento?
Credo di poter rispondere solo per me stesso. Il modo e le dimensioni con cui amo lavorare oggi sono impensabili da poter fare di “notte”.

Come si configura il rapporto dell’artista con la parte umana del territorio, quella che vive i suoi spazi e costruisce il suo immaginario e i propri simboli attorno all’opera?
Credo che l’arte debba essere sempre una sfida. La cosa peggiore è se a nessuno interessa. Quindi, se evoca una sorta di emozione, discussione o da inizio ad un cambiamento, allora ha adempito i suoi obblighi.

Secondo te per il futuro dell’arte urbana cosa cambierà? Preservare o lasciare che l’effimero abbia la meglio?
La sento come una forma d’arte che soddisfa definitivamente il linguaggio visuale del nostro tempo. Molti lavori probabilmente saranno effimeri, dal momento che gli spazi pubblici sono sempre soggetti a cambiamenti. In ogni caso viviamo in un tempo in cui tutto può rapidamente mutare, vediamo cosa ci riserverà il futuro.

Pensi che la street-art può portare ad una nuova idea di arte e una commistione di generi rispetto alle opportunità offerte da un museo inteso in senso tradizionale?
Sicuramente porta l’arte in strada in maniera differente, e soprattutto arriva a masse differenti da quelle di un museo o galleria. Ma non vedo una netta separazione tra museo e street art. Si stanno già fondendo con gli artisti che dalla strada arrivano in galleria, e le gallerie e i musei che organizzano progetti negli spazi pubblici.

Poniti una domanda sulla tua arte?
Perché tutto questo? Per passare buoni momenti nel poco tempo che abbiamo.

Hendrik Beikirch. Mural of Oulad-Bouzid-III, Brooklyn:NYC. (photo © Leanna Valente)
Hendrik Beikirch durante la realizzazione del muro con il ritratto di mentre realizza il ritratto di Oulad-Bouzid-III a Brooklyn (NYC) – Photo © Leanna Valente
Hendrik Beikirch. Portrait of Rakouch Timallizene. Museum Völklingen Ironworks Germany
Hendrik Beikirch, ritratto di Rakouch Timallizene. Museo Völklingen Ironworks, Germania.
Hendrik Beikirch. Portrait of Mohamed-Bouhir. A writer:reader for those who are not literate (photo © Hendrik Beikirch)
Hendrik Beikirch, ritratto di Mohamed-Bouhir – Photo © Hendrik Beikirch

Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.