Il 4 dicembre prossimo inaugurerà Illustri Festival e così abbiamo colto l’occasione per intervistare Ale Giorgini, illustratore nonché presidente dell’Associazione Illustri, per parlare del suo lavoro e del ruolo che sta svolgendo la manifestazione vicentina nella divulgazione dell’illustrazione in Italia.
Chi è Ale Giorgini?
Ale chi?? È un (quasi) quarantenne con barba, occhiali, occhiaie, che si sveglia sorridendo perché ha la fortuna di fare il lavoro che ama e che normalmente non ama parlare di sé in terza persona.
Come ha influito su di te e sulla tua determinazione quell’insufficienza in disegno presa alle scuole medie che dici essere stato uno dei momenti peggiori della tua vita?
Penso che nella vita spesso serva di più uno schiaffo in pieno viso che una pacca sulla spalla. Quel voto è stato uno schiaffo, che subito mi ha disorientato. Ma poi mi ha fatto vedere chiaramente cosa in realtà io volessi fare.
Quando hai capito che l’illustratore era la professione che avresti fatto?
Non c’è stato un momento preciso in cui ho capito che quello era ciò che avrei fatto. C’è stato invece un momento preciso in cui ho realizzato che quello era ciò che avrei dovuto provare a fare con tutte le mie forze. Un momento piuttosto nero della mia vita, che però mi ha fatto comprendere che il tempo che ci è concesso va impiegato per seguire ciò che si ama.
Il tuo linguaggio visivo è molto definito e riconoscibile. Come sei arrivato a questa sintesi?
Dopo tanto tempo passato a perfezionare il mio segno e a colmare le lacune che da autodidatta avevo e che tutt’ora ho. È stato un processo quasi naturale, spontaneo: ho fatto incontrare il momento più bello della mia vita, quando da bambino passavo le giornate a disegnare seduto davanti alla televisione i cartoni animati di Hanna & Barbera o al tavolo della piccola biblioteca sotto casa mia a copiare le illustrazioni di Miroslav Sasek, con il periodo meno felice: i cinque anni di scuola per geometri che mi sono ritrovato a fare dopo che il professore di artistica delle medie sconsigliò i miei genitori dal farmi proseguire gli studi artistici (cosa che invece io avrei voluto fare). Ho unito l’immaginario folle, lisergico e coloratissimo dei cartoni animati e di quell’estetica “sixties”, con il rigore e la rigidità del disegno geometrico. Ne è nata “quella roba lì” che un blogger di settore ha definito “geometric retrò style”. Geometrò per gli amici.
Immagini di poter percorrere nuove strade (stilisticamente parlando)?
Non lo so. Ma me lo auguro. Non smetterò di sperimentare, anche se ho trovato un linguaggio visivo con il quale sono a mio agio. E, cosa non trascurabile, risulta riconoscibile dal pubblico.
Fino ad oggi nel settore editoriale in Italia la fotografia ha avuto un peso maggiore rispetto all’illustrazione. Quali sono le motivazioni secondo il tuo punto di vista? Vanno ricercate nella mancanza di formazione visiva della committenza o in altro?
Gli anni 80 e 90 sono stati – in generale – decenni nei quali la fotografia è stata protagonista. L’Italia è rimasta un po’ indietro nel successivo processo di rivalutazione dell’illustrazione come strumento di comunicazione, perché culturalmente facciamo fatica a cambiare. Siamo un paese piuttosto pigro e guardiamo con diffidenza alle novità. Abbiamo perso per strada il grande patrimonio creativo di una scuola di illustratori che non ha nulla da invidiare al resto del mondo, fatta di grandissimi disegnatori che hanno raccontato la storia e la società attraverso le immagini disegnate. Ma oggi, anche qui in Italia, l’illustrazione sta vivendo un momento felice, dovuto anche al grande fermento del settore a livello internazionale. Oggi abbiamo in Italia una categoria di professionisti richiesti, apprezzati e premiati in tutto il mondo.
Qual è secondo te il ruolo dell’illustrazione oggi e quale auspichi sia nel futuro?
L’illustrazione è un linguaggio universale: al netto di alcune differenze culturali, viene “letta” da chiunque. L’illustrazione è democratica: non servono strumenti critici per poterla comprendere. L’illustrazione è primordiale: da bambini il disegno è la prima forma di comunicazione che usiamo per comunicare al mondo. E forse è questo il motivo per cui un immagine disegnata tocca delle corde che altri media non riescono a raggiungere. Il futuro dell’illustrazione sarà continuare a fare quello che ha fatto in passato: raccontare delle storie. Quello che cambierà saranno solo gli strumenti attraverso i quali le immagini viaggeranno.
Illustri Festival ha sicuramente il merito importante di aver avvicinato il pubblico all’illustrazione. Come è nata l’idea di questa manifestazione e quale è stato il suo riscontro?
Direi assolutamente per caso. Mi è stato proposto di “tappare un buco” per una mostra saltata all’ultimo minuto e che avrebbe dovuto essere ospitata in Basilica Palladiana. Avevo 30 giorni di tempo, un piccolo budget e una location straordinaria messa a disposizione dall’Amministrazione della mia città, alla quale si deve il merito di aver creduto fin da subito a questo progetto. L’idea è nata in maniera davvero semplice: dare vita alla mostra che io avrei voluto visitare.
Successivamente al festival è nata anche l’associazione Illustri. Cosa offre nello specifico agli illustratori?
Un nuovo punto di riferimento, innanzitutto. Nuovo non solo per questioni anagrafiche, ma nuovo anche perché questo lavoro è cambiato molto rispetto al passato. Non sto parlando di 20 0 30 anni fa: questa professione ha vissuto una rivoluzione che l’ha completamente cambiata rispetto a soli 8-10 anni fa: i new media, l’evoluzione delle tecnologie per il disegno, la situazione economica internazionale hanno trasformato radicalmente la figura dell’illustratore. E quindi oggi c’è bisogno di un punto di vista nuovo, aggiornato rispetto a questa evoluzione/rivoluzione. Associazione Illustri si pone in quest’ottica, offrendo momenti di incontro-confronto fra professionisti o futuri tali e occasioni che possano fungere da stimolo e crescita. Il programma del primo anno – anzi, dei primi 11 mesi perché mentre sto scrivendo non abbiamo ancora iniziato il dodicesimo mese di attività – ha visto un tour di talk e review in 6 diverse città italiane, che ha coinvolto 18 illustratori professionisti che hanno incontrato quasi 400 giovani illustratori per dare loro consigli, feedback e per condividere le proprie esperienze. Abbiamo portato in Italia per la prima volta Malika Favre con una mostra personale e un workshop che ha registrato il tutto esaurito in poche ore. E lo faremo attraverso l’imminente festival che oltre alle 9 mostre nelle quali sono coinvolti più di 50 illustratori, offrirà al pubblico 12 differenti workshop, 2 portfolio review di caratura internazionale con una delle agenzie di rappresentanza più importanti del mondo (la Dutch Uncle di Londra), ma soprattutto cinque giornate nelle quali Vicenza diventerà il luogo di incontro degli addetti al settore. Per questo motivo, ad esempio, abbiamo realizzato uno spazio in Basilica Palladiana che abbiamo chiamato Salotto Illustri e che speriamo diventi il punto d’incontro dei tanti illustratori che arriveranno qui e che avranno modo di incontrarsi, conoscersi e confrontarsi. Facendo nascere nuove collaborazioni, nuovi progetti e iniziando a costruire insieme una nuova visione di questa professione.
L’illustratore è una professione che porta perlopiù a lavorare in solitudine. La creazione di una “casa dell’illustrazione italiana” è stata la risposta a una necessità di confronto?
Si, questo è uno degli intenti. Gli illustratori sono un arcipelago: tante isole solitarie che Associazione Illustri vuole cercare di collegare. Uno dei successi più grandi della prima edizione di Illustri è stato proprio quello di fare incontrare disegnatori che prima non si conoscevano: sono nate nuove collaborazioni e anche qualche bella amicizia.
Cosa consiglieresti a un giovane illustratore? (Oltre ad associarsi a Illustri!)
Di lavorare sodo, non avere fretta e di non fidarsi mai di chi fa questo lavoro e non sorride.
Grazie al vostro operato Vicenza si sta affermando come la capitale italiana dell’illustrazione. Oltre al vostro merito quale altre congiunture sono state necessarie?
Sicuramente l’aver trovato un’Amministrazione illuminata, che ha creduto fin da subito al nostro progetto e che è sempre stata collaborativa, arrivando a metterci a disposizione – letteralmente – il centro storico di Vicenza. Non capita davvero tutti i giorni di riuscire a portare l’illustrazione in luoghi come la Basilica Palladiana, Palazzo Chiericati o il Teatro Olimpico. Questo è stato decisivo per dare grande risalto al progetto Illustri e in qualche modo legittimare questo “movimento”, come mi piace definirlo oggi.
Ale Giorgini è un illustratore italiano che lavora in differenti campi: pubblicità, editoria (libri, riviste, fumetti), intrattenimento, social content. Tra i suoi clienti Disney Entertainment, Foot Locker, Faber-Castell, Fandango, L’Espresso, La Repubblica XL, Il Sole 24 Ore, Mondadori, Sony Pictures, Warner Bros e Wired UK. Ale inoltre insegna presso la Scuola Internazionale di Comics (Padova) ed è art director presso Illustri Festival e Berga Urban Museum (Vicenza).