Il rebranding di Kodak. Il ritorno al passato (che non se n’è mai andato).

Il rebranding di Kodak, curato dallo studio newyorkese Work-Order (Keira Alexandra e Kiffer Keegan) è un ritorno al passato e precisamente all’immagine più iconica dell’azienda americana che nessuno di noi ha dimenticato. A differenza del logo adottato nel 2006.

Utilizzata per circa trentacinque anni, la “K”, progettata da Peter J. Oestreich nel 1971, torna ad essere protagonista dell’identità visiva dell’azienda fondata da George Eastman nel 1888. Il lettering ruota in verticale ricordando i fori della pellicola, i colori rosso e il giallo insieme al nero nel packaging riconducono ancora al mondo Kodak a noi familiare.

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Il lettering in forma capitale mette in evidenza la simmetria delle lettere che compongono il nome Kodak e consente l’utilizzo armonico in forma verticale. Il logo rappresenta la prima lettura e il nome è il segno di supporto. Quando piccolo, il nome viene rimosso lasciando spazio solo all’icona.

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Kodak rappresenta un sistema di risorse organizzate scientificamente per la creatività. L’immagine comunica professionalità, il senso ampio della visione e la grande efficienza. Una identità grafica unificata riporta di nuovo coesione nella percezione del marchio.

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Design Playground è un viaggio nella creatività attraverso i progetti più suggestivi della cultura contemporanea. Un racconto fatto di storie, di idee e di sogni.

Design come “progettazione di un artefatto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”.

Siamo partiti proprio da qui, dal termine design. Una parola che, come spesso accade con i termini di cui si abusa, ha perso il suo significato originale. O meglio, siamo noi che lo abbiamo perso di vista. Il design non è lusso, il design è creatività ma soprattutto, ricerca e progetto, è saper ascoltare e capire le necessità. Con le parole di Enzo Mari tratte da 21 modi per piantare un chiodo“Credo che il design abbia significato se comunica conoscenza”.

Quello che ci prefiggiamo è raccontare quel design che comunica appunto la storia e le conoscenze che hanno permesso di arrivare alla sua sintesi. Tutto questo in uno spazio aperto a tutti, un playground, dove sia centrale la voglia di conoscere, approfondire e cercare spunti di riflessione.


Massimo Vignelli ha affermato: «Il design è uno – non sono tanti differenti. La disciplina del design è unica e può essere applicata a molti ambiti differenti». E ancora Ettore Sottsass “il design è un modo per discutere di società, politica, erotismo, cibo e persino di design. Alla fine, è un modo per costruire una possibile utopia figurativa o una metafora della vita”.

Design Playground attraversa i differenti ambiti della progettazione trattandoli come parte di un unicum che li comprende tutti: dalla grafica alla fotografia, dall’illustrazione al video, dall’industrial design all’arte.