Dietro il simpatico nome dello studio Bomboland si nasconde la coppia creativa formata da Maurizio Santucci ed Elisa Cerri. Si sono incontrati per caso (o come amano pensare loro per “colpa” del destino), lavorano a Lucca, come il Bombo sono molto operosi e pieni di progetti, le loro illustrazioni di carta hanno fatto il giro del mondo grazie a collaborazioni con brand italiani e internazionali come Nokia, Toyota, Eni, Conad, Luxottica, Unicef o con magazine come The Washington Post, The Guardian, Il Sole 24 Ore, Internazionale, Wired, L’Espresso, ScientificAmerica. Abbiamo deciso di farveli conoscere meglio.

Quando e come nasce Bomboland?
Nasce davvero per caso, anche se forse era destino :) Entrambi venivamo da una formazione artistica comune. Entrambi abbiamo iniziato con la classica gavetta da designer in agenzie di comunicazione. Entrambi abbiamo pensato che quello non faceva per noi. E quindi una decina di anni fa ci siamo ritrovati a “spedire” disegni in rete, senza sapere in realtà che quello era l’inizio di un lavoro.
Perché Bomboland?
Anche qui ritorna un po’ il caso. Maurizio aveva un nickname, all’epoca, che usava in alcune chat e nel primo blog nel quale pubblicava i primi disegni: Bombo, appunto. Il bombo è un insetto operoso, della famiglia delle api, che si da un gran da fare per raccogliere nettare e polline e nutrire i piccoli. Una bella metafora no?
Quando è stato il momento di darsi un’identità come studio, abbiamo pensato di usare la stessa parola, aggiungendo il mondo che le stavamo creando intorno. E da qui Bomboland.

Qual è il processo che seguite per dare forma alle vostre illustrazioni?
Qui il caso non c’entra per niente. Abbiamo capito presto infatti che senza un buon metodo non si faceva un buon lavoro. La base di tutto è il disegno. A matita, a mano. (sì ancora adesso). Dopo essersi confrontati fra di noi sul brief o sul testo da illustrare e aver buttato giù le varie idee, Maurizio inizia a lavorare sui bozzetti, in bianco e nero, che vengono inviati al cliente. Seguono giri di mail e correzioni, di qualche ora o qualche giorno, e si procede alla finalizzazione. Nel tempo abbiamo definito varie tecniche che si differenziano leggermente anche nel processo. La scelta dipende dal tempo che abbiamo e dalla richiesta del cliente. Solitamente si procede con un disegno vettoriale del pezzo intero. Poi si può procedere alla realizzazione di un papercut in bianco, che viene fotografato e ricolorato in digitale. Questo ci consente di lavorare molto e liberamente sul colore e, aspetto da non trascurare, di poter fare modifiche all’illustrazione finale, qual’ora il cliente le richiedesse. Altrimenti possiamo realizzare un papercut a colori, fotografarlo e limitarci a piccoli ritocchi sull’illustrazione finale.
Nel tempo abbiamo realizzato anche molti lavori totalmente in digitale, simulando la tridimensionalità data dalle luci e dalle ombre e le texture della carta.
Da un punto di vista concettuale, il nostro lavoro segue un processo meno lineare, non abbiamo una formula precisa con cui farci venire le idee. Ovviamente attingiamo all’immaginario che ci portiamo dietro, anche su richiesta del cliente che con le sue indicazioni delimita molto il campo di gioco. Ma in generale cerchiamo sempre di prendere le cose di lato, non ci fermiamo mai alla prima idea (anche se a volte è proprio quella giusta!), cerchiamo varie alternative e, ci proviamo, scegliamo quella meno scontata. Non è lineare questo processo perché ci sono delle immagini che stanno lì, nella testa, che escono sul tavolo belle e pronte (si fa per dire), mentre in altri casi devono essere ricomposte pescando qua e la oppure devono proprio ancora nascere, e c’è bisogno della giusta ispirazione.

I vostri lavori sono stati utilizzati soprattutto in campo editoriale e in quello pubblicitario. Ci sono altri settori con cui vorreste confrontarvi? E nuove applicazioni (anche materiali) da esplorare?
Sì, sì, il “dovremmo provare a farlo” è il mantra dello studio. Seriamente, il prossimo campo in cui faremo qualcosa è quello dell’animazione. Abbiamo già fatto alcune cose, fornendo le illustrazioni che poi hanno animato studi esterni, ma ancora non ci siamo buttati in questo mondo come vorremmo. L’animazione e la motion graphics ci sembrano il futuro, quindi ci sembra anche giusto investire in questa direzione.
Owen Gildersleeve nel suo Paper Cut: An Exploration Into the Contemporary World of Papercraft Art and Illustration sostiene che il mondo del design si stia allontanando sempre di più dalla digitalizzazione e ancora una volta abbracci le imperfezioni delle tecniche artigianali. Qual è il valore aggiunto secondo voi che la lavorazione e la modellazione manuale della carta conferisce a un’illustrazione?
Questo è un argomento che ciclicamente ritorna, effettivamente. Anni fa era esploso il mondo del craft nell’illustrazione. Poi c’è stato un po’ un calo, forse, o comunque un ritorno al digitale, al vettoriale puro. Adesso sembra che ci sia spazio davvero per tutto, compreso le tecniche tradizionali e artigianali. Uno degli aspetti forse più attraenti di un lavoro in cui sia chiara la sua realizzazione manuale è la dimensione quasi empatica che si ha di fronte a esso. Le tecniche di cui si parla sono tecniche relativamente alla portata di tutti, nel nostro caso, ad esempio, il collage è qualcosa che tutti da bambini abbiamo fatto. La carta è un materiale comune, con cui tutti, almeno una volta, abbiamo provato a fare una barchetta. Quindi, quando vedi un’illustrazione intagliata in decine di pezzi, magari molto piccoli, ti cali subito nella parte e capisci e cogli perfettamente il lavoro, la fatica e la capacità che ci sta dietro. Per questo parlavo di empatia.

L’illustrazione apparentemente sta vivendo un momento d’oro, anche in Italia. Qual è il vostro punto di vista?
Sì, senz’altro c’è stato uno sviluppo e una diffusione. L’illustrazione è ritornata nell’advertising, i libri illustrati per bambini sembra, a dispetto della crisi dell’editoria, siano in crescita. Nascono scuole di illustrazione come funghi. E in generale si sta concretizzando una reale rete di professionisti dell’illustrazione attraverso associazioni, iniziative, eventi. Tutti segnali che l’illustrazione c’è, anche in Italia. Ci siamo troppo in mezzo per esprimere giudizi di merito, diciamo che c’è molta più richiesta e molta più diffusione, ma di oro ce ne vorrebbe molto di più :).
Che tipo di rapporto avete con la committenza? Quanto influisce sul vostro lavoro?
Ci verrebbe da dire che la bontà del rapporto con la committenza è inversamente proporzionale alla sua influenza sul nostro lavoro, ma saremmo troppo ingiusti :) La committenza non è tutta uguale e di conseguenza anche il nostro rapporto con essa dipende da chi ci troviamo di fronte. La cosa va bene quando il cliente capisce bene il nostro lavoro, cosa facciamo, cosa potremmo fare. Allora troviamo un’intesa e il lavoro fila liscio, e il committente influisce positivamente sul lavoro (e su di noi!). I problemi nascono quando non si trova un’intesa perché le aspettative del cliente sono disattese, talvolta per colpa nostra talvolta per colpa del cliente che non ha commissionato il lavoro alla persona giusta.







